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Note sul tema dell’immagine

Articolo pubblicato il 20 settembre 2011 su “Doppiozero

“Volevo essere una farfalla”

di Michela Marzano 

Vivere la propria immagine

Viviamo nell’epoca dell’immagine, epoca in cui siamo chiamati a fare i conti a vario titolo e a diversi livelli con il ruolo sempre più centrale che quest’ultima ha progressivamente assunto.

Attualmente l’immagine è oggetto di un sovrainvestimento, direttamente connesso con un’estensione incredibile del campo del visibile, a partire dallo sviluppo di mezzi tecnologici, applicati sia alla scienza che ai mezzi di comunicazione.

Tutto questo non può non avere effetti sul corpo, che per sua struttura è legato strettamente con l’immagine, a partire dal valore costitutivo che questa ricopre per l’essere umano sin dalla primissima infanzia[1].

Uno degli effetti che possiamo riscontrare è un disagio diffuso tra i giovani, che risultano particolarmente esposti a questo fenomeno epocale, relativo al come rapportarsi con un’immagine, presunta ideale, posta continuamente davanti a loro, sempre un passo avanti, come un miraggio irraggiungibile. Questa risulta tanto più forte e feroce nel suo potere ipnotico, quanto meno riesce ad essere mediata dalla parola o da un desiderio particolare che muove il soggetto. Un desiderio, cioè che opera a partire da un altro punto, si potrebbe dire a monte e non come un miraggio o un’illusione. Si tratta di quel desiderio che fa spazio a ciascuno, come soggetto particolare e non come essere perfetto rispondente a un prototipo preconfezionato e prestabilito.

Quando tale desiderio viene meno o vacilla, il corpo è chiamato in causa, perché può essere preso di mira,  senza alcuna mediazione soggettiva, attraverso varie pratiche direttamente agite. Il rischio è quello di una riduzione del corpo all’immagine, a un corpo bidimensionale, appiattito, dal quale si vuole tagliare fuori la dimensione della parola nel suo avere un’incidenza, cioè nella sua operatività, che è quella di tracciare i confini del corpo, di quel corpo che è diverso da un altro.

Come ha sottolineato una Psicoanalista francese[2], il culto dell’apparenza e dell’adorazione dell’immagine è uno dei prodotti più venduti, in vari modi e a vari livelli: “Ciò che caratterizza i nostri giorni è che questa adorazione vale per il corpo di ciascuno, cioè ciascuno ha l’idea di adorare il suo corpo e non quello dell’altro. L’adorazione della propria apparenza comporta lo sviluppo di varie tecniche di modificazione a vari livelli più o meno invasivi. L’immagine è caduta nel campo degli oggetti, pur avendo ancora il suo valore unificante”.

In questo scenario risultano così preziosi quei testi che riescono, con una maestria particolare a dare spazio e voce a una parola legata a un’esperienza del tutto singolare come ad esempio fa notare Anna Stefi in un articolo sul libro “Volevo essere una farfalla” di M. Marzano[3]: “Non voglio sapere delle sofferenze di Michela Marzano per soddisfare il mio voyerismo , né voglio sapere delle sue debolezze per quell’esigenza che tutti abbiamo, figlia dello stesso pensiero di cui l’anoressia è uno tra i sintomi, di riportare vicino a noi modelli idealizzati cui vogliamo tendere; ma voglio sapere che è possibile rivendicare, ed è qui la speranza del libro e il suo impegno etico, il ruolo che al corpo e alla propria storia spetta. Il coraggio di Volevo essere una farfalla insomma non è soltanto nell’esposizione della propria fragilità, nella messa a nudo del sé, ma più ancora nel dire oggi che di tutto questo non solo si può ma si deve parlare, se si vuole fornire spazio e terreno fertile allo svilupparsi di una dimensione critica che consenta la decostruzione di immagini e discorsi che producono devianze pericolose, devianze che abbiamo davanti agli occhi e di cui la cultura ha il dovere di occuparsi”[4].

In fondo la scrittura di un libro è anche un modo di dare un corpo alle parole. E a mio avviso, questa operazione risulta tanto più interessante, perché di un libro si può parlare e tornare più volte a parlare. Cioè dà la possibilità di rilanciare la parola, dà la parola.

[1] J. Lacan, Lo stadio dello specchio, in Scritti, volume primo, Einaudi Torino 1974.
[2] M.H. Brousse, psicoanalista a Parigi, membro dell’AMP, Conferenza dal titolo Il corpo nel XXI secolo tenuta all’Istituto freudiano di Roma il 22 settembre 2012, inedita.
[3] M. Marzano, Volevo essere una farfalla, Mondadori Milano 2011.
[4] Articolo di A. Stefi, (Doppiozero, 20 settembre 2011)

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Dott.ssa Beatrice Bosi

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