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Sport addiction: tra benessere e ossessione

Nell’epoca del botulino, il silicone e la magrezza, il corpo e le sue trasformazioni diventano luogo privilegiato di espressione dell’identità. Accanto ai disturbi alimentari più noti, come l’anoressia e la bulimia, si assiste ad un aumento di nuove forme di disagio, non ancora riconosciute dal punto di vista diagnostico come patologie vere e proprie ma sempre più diffuse.

Dopo esserci occupati di Ortoressia, ci proponiamo ora di affrontare altri importanti fenomeni sempre più diffusi ai giorni nostri: la Bigoressia e l’Anoressia Atletica.

Da sempre sport e movimento sono considerati un’ottima abitudine di vita, alleati della salute e della longevità, tuttavia quando si esagera, come nei casi che andremo a descrivere, essi  possono assumere  i contorni, ben più preoccupanti, di una vera e propria dipendenza.

L’etimologia della parola Bigoressia o dismorfofobia muscolare (conosciuta anche come Vigoressia o Complesso di Adone) deriva dall’inglese Big “grande e grosso” e Oressia che si traduce come “senso di appetito”, il tutto inteso come fame di “grossezza”. Essa si manifesta come una continua ossessione per lo sport e la muscolarizzazione e indica la preoccupazione di avere un fisico poco prestante o troppo esile in persone visibilmente muscolose. A tal proposito la bigoressia è stata definita anoressia inversa, proprio per la sua specularità con la condizione dell’anoressia nervosa, che al contrario porta il soggetto a continuare a vedersi grasso nonostante la sua drammatica magrezza. L’attività fisica viene esercitata in maniera estrema al punto tale da trasformarsi in vere e proprie condotte ossessive alla ricerca disperata del “vedersi bene” e non del “sentirsi bene”.

La bigoressia sembrerebbe nascere quindi da una non accettazione del proprio corpo unita ad una bassa autostima che, a sua volta, condurrebbe a conformarsi a modelli culturali attuali che ricercano ossessivamente la bellezza.

Questa ossessione per la bellezza è incentivata anche dal fatto che nella nostra società ci sia sempre meno spazio per l’accettazione di se stessi e sempre più ricorso a trattamenti di diverso genere per correggere il corpo, considerato ormai molto spesso un oggetto da manipolare in quanto mezzo per raggiungere altri obiettivi. Il soggetto bigoressico investirebbe inizialmente sulla perfezione del proprio corpo per raggiungere scopi più legati a quella che è la sua storia personale, ad esempio l’ostentazione di un fisico degno di ammirazione potrebbe ipercompensare una bassa autostima e un senso di inadeguatezza.Ai problemi di tipo psicologico si aggiungerebbero inoltre problemi fisici derivanti da una dieta sbilanciata, troppo ricca di proteine, e da un uso improprio di anabolizzanti che possono, se prolungati, portare ad alterazioni della funzione renale, problemi ossei ed articolari e impotenza.

Nei primi anni ’90 viene introdotto il concetto di Anoressia Atletica. Questa problematica, che colpisce prevalentemente giovani atlete, si distingue dall’anoressia nervosa orientata ad un fine puramente estetico, l’ideale rappresentato da un corpo magro. Nell’anoressia atletica, invece,ciò che si ricerca, per mezzo della perdita di peso, è una maggiore prestazione sportiva.

Queste ragazze sono ossessionate dall’ottenimento di performance sempre migliori e rivolgono pertanto al proprio corpo un’attenzione estrema cercando di renderlo efficiente come una macchina.

All’ossessione per il fisico spesso si associa quindi un disturbo del comportamento alimentare volto a ridurre la massa corporea al fine di ottenere prestazioni sportive sempre migliori.

L’ideale “dell’essere il migliore”, di eccellere nel proprio sport, spinge il soggetto a manifestare un certo livello di compiacenza alle estenuanti richieste degli altri al fine di migliorare continuamente le proprie prestazioni ed assicurarsi il riconoscimento dell’altro. Tali comportamenti, anche in questo caso, potrebbero essere dovuti ad una bassa autostima del soggetto.

Il moltiplicarsi di queste nuove sindromi testimonia come il cibo e il corpo siano un canale privilegiato per manifestare un disagio, trasmettere messaggi e comunicazioni profonde. L’angoscia per il sentirsi leggeri è l’espressione sintomatologica di un problema interiore che viene trasferito sul corpo e sulla pelle.

Il corpo, mediatore dell’incontro con l’altro, perde l’accezione di luogo della comunicazione e si trasforma in qualcosa da correggere o da distruggere.

Durante il periodo dell’adolescenza avvengono in esso cambiamenti radicali che possono generare un senso di disorientamento e sentimenti di preoccupazione e di incertezza.

Gli adolescenti sono particolarmente vulnerabili alla pressione del contesto in cui vivono e ai valori proposti dalla società e dal gruppo dei pari.

In questa fase, essendo lo sport un’attività educativa riguardante il corpo, il soggetto impara a conoscere il proprio e a valorizzarlo. In un contesto di crescita così delicato, oltre alla famiglia, un ruolo di estrema importanza è pertanto quello degli allenatori sportivi. Questi ultimi, molto competenti dal punto di vista sportivo e focalizzati sul risultato, talvolta trascurano aspetti  nutrizionali, educativi e psicologici, non tenendo conto della complessità dei bisogni dei ragazzi. Risulta pertanto molto importante tenere presente che il ruolo dell’allenatore va ben oltre l’insegnamento del gesto tecnico.

“Allenare” significa, infatti, “educare” e l’allenatore dovrebbe porsi come protagonista attivo di esperienze formative. Così come i famigliari, anche gli allenatori stessi dovrebbero tenere conto del valore della propria parola nella vita dei loro atleti evitando di criticare e disapprovare ragazze e ragazzi in base al corpo e al peso, ma favorendo la costruzione della loro identità e lo sviluppo di una “solida” autostima, ponendo come priorità la crescita della persona come individuo.

Dott.ssa Elena Traversa
Dott.ssa Romina Cardaci