Shame
Shame, Gran Bretagna, 2011. Tra i principali interpreti: Michael Fassbender, Carey Mulligan. Regia di Steve McQueen.
Shame è un film del videoartista britannico Steve McQueen, uscito in Italia nel gennaio di quest’anno e premiato al Festival di Venezia del 2011 con la coppa Volpi per il miglior attore protagonista.
Il film racconta la storia di Brandon, un trentenne che vive a New York. Brandon ha un ottimo lavoro, ha un delizioso loft, è bello e affascinante. Ha un unico problema: soffre di dipendenza da sesso. In effetti la sua vita, apparentemente tranquilla, quasi banale, ruota completamente attorno al sesso. Brandon si masturba ovunque capiti, si collega, sia a casa che in ufficio, a siti porno, frequenta prostitute, si aggira famelico in dark room per soli uomini. L’arrivo della sorella, un’aspirante cantante, molto sofferente, sconvolgerà le “normali” abitudini di Brandon. Per inciso è a lei che viene affidata l’unica battuta che possa far pensare a possibili traumi presenti nel loro passato: “Noi non siamo brutta gente, veniamo da un brutto posto”. Nel corso del film alcune scene, per esempio quella in cui il protagonista, dopo un’orgia notturna, si accascia per strada da solo, disperato, in lacrime, sotto la piaggia battente, sembrano suggerire che voglia o comunque cerchi di interrompere la ronda infernale nella quale, suo malgrado, sembra costretto a girare senza sosta. Ma il film non propone un lieto fine. Restiamo, come Brandon, in sospeso: non sappiamo se nella scena finale, quando si trova sulla metro, si alzerà dal suo posto per andare a rimorchiare la provocante passeggera che, tempo prima, aveva già adocchiata e inseguita. E’ vero che nel frattempo nella sua vita sono accaduti alcuni eventi, anche dolorosi, come il tentato suicidio della sorella, che potrebbero averlo cambiato, ma non è detto.
In un’intervista (vedi la Repubblica.it del 12/01/2012) il regista racconta di aver scelto il titolo del film, dopo aver ascoltato le testimonianze di molte persone afflitte da questo disturbo, le quali continuavano a ripetere la parola ‘vergogna’ per descrivere ciò da cui erano assalite dopo aver soddisfatto ciò che Freud chiamerebbe la spinta pulsionale.
Tuttavia, da un altro punto di vista, non possiamo fare a meno di ribadire qualcosa che è sotto gli occhi di tutti da molti anni: viviamo in un mondo dove la vergogna è sparita. E’ quasi superfluo dirlo ma oggi a essere alla ribalta è piuttosto la spudoratezza. Basta accendere la televisione e seguire uno dei tanti talk show, oppure leggere i giornali per venire a conoscenza di scandali vari che coinvolgono politici e amministratori dello Stato, persino la Chiesa cattolica non è stata risparmiata.
Allora qual è il messaggio che questo film vuol far passare? Io credo che il regista sia riuscito a far leva sicuramente sulla vergogna, ma, paradossalmente, non tanto su quella del protagonista (non sappiamo come se la caverà con il suo godimento) quanto su quella degli spettatori. Ossia attraverso quelle scene di sesso esplicito, a volte frenetico ma assolutamente meccaniche e neutre (tant’è che l’unica volta che il protagonista sta per fare l’amore con una donna che gli piace e con la quale può nascere una storia seria fa cilecca) lo scopo sia quello di far ritrovare proprio a chi guarda il rapporto con questo affetto fondamentale che è la vergogna. Ci sembra dunque che questo film rappresenti un vero antidoto per evitare di continuare a scivolare lungo quella china pericolosa che ci vorrebbe tutti spudorati o, per dirla con una parola di uno psicoanalista francese: tutti canaglie.
Dott. Ezio De Francesco