Le parole per dirlo – Marie Cardinal

Evidentemente non è un caso che l’incipit di questa autobiografia sia una dedica rivolta all’analista che “mi ha aiutata a nascere”.
Il titolo Le parole per dirlo indica che c’è qualcosa di difficile da dire. Dire cosa? L’indicibile, l’impossibile, la Cosa, come la chiama la scrittrice.
Nelle prime pagine che risultano essere una sorta di radiografia “dell’inizio di un’analisi”, l’autrice è abitata da una domanda: “(…) la Cosa, questa colonna del mio essere, ermeticamente chiusa, piena di buio in movimento, come facevo a parlarne?”.
Il corpo è in primo piano, un corpo che perde sangue, un corpo chiuso, tappato, da nascondere, che finisce per rintanarsi in bagno.
Tutta una serie di cure mediche, peraltro invasive, non avevano risolto il problema.
Un atto segna l’inizio dell’analisi: la fuga dall’ennesimo ricovero. “La pazza”, così l’autrice chiama la parte inaccettabile di sé, finalmente si concede uno spazio, quando riesce a dire a se stessa: “Forse esisteva una via tra me e qualcun altro. Magari fosse vero! Magari potessi trovare qualcuno che mi ascolti veramente!”.
L’analisi ben documentata nei suoi passaggi cruciali ha dovuto trattare il rapporto con la madre che era fondamentalmente un “legame di morte”, quello più difficile da sciogliere in un’analisi. Questo legame affondava le sue radici nella congiuntura della nascita della protagonista, quando i genitori erano sul punto di divorziare. La madre, in effetti non aveva desiderato la sua nascita e aveva tentato in vari modi di interrompere quella gravidanza, senza però poter ricorrere all’aborto, per motivi religiosi. L’angoscia che ritorna sul corpo a partire dall’infanzia trova qui le sue radici più profonde. Prima della perdita del sangue c’erano altri sintomi infantili, ad esempio periodi in cui vomitava ogni sera la cena.
Ad analisi inoltrata inizia un’attività di scrittura, destinata a prendere sempre più spazio nella sua vita. Prima scrive su dei quaderni che nasconde, poi deciderà di ricopiarli con la macchina da scrivere. L’autrice dice di non sapere il perché di questa attività di riscrittura, sa solo che nel farlo prova una grande soddisfazione. Fino alla scoperta sorprendente che le parole “contengono materia viva”. Le parole che definisce: “quegli astucci pieni di vita, contenuti a loro volta, quando sono scritte, negli astucci delle lettere”.
L’analisi porta a dare un peso alle parole, è questo che scopre l’autrice, e che spiega così bene quando, a proposito dell’interpretazione di uno dei due sogni che le hanno permesso di terminare l’analisi, dice: “Perché mai avevo scelto alcuni particolari e trascurato altri? Perché sentivo l’inconscio pesare laddove poi mi diressi”.
Sono le parole alle quali darà corpo attraverso questo libro solo una volta finita l’analisi, una volta trovate appunto “Le parole per dirlo”.
Dott.ssa Beatrice Bosi