Volevo essere una farfalla – Michela Marzano

Volevo essere una farfalla è un libro autobiografico in cui l’autrice narra del suo viaggio lungo e sofferto per oltrepassare quello che chiama “il muro” dell’anoressia.
L’autrice mette ben in luce che al cuore, all’origine della sua anoressia c’è un “no”, che si è iscritto precocemente rispetto al rapporto con l’altro, in questo caso la madre. A tal proposito che parla di un’interruzione “troppo precoce” del legame con la madre, di un’assenza che ha significato un abbandono.
Laddove si è spezzato qualcosa per sempre, c’è una ferita insanabile, che ha a che fare con l’essere abbandonata, con una perdita ingestibile, con un vuoto troppo grande.
A fare da contraltare c’è il rapporto con il padre, rispetto al quale dice di essere stata presa nei suoi “ideali tirannici”, ovvero dover essere la più brava. Era l’unico modo che aveva per sentirsi amata dal padre.
Il passaggio attraverso diversi tentativi di cura la vedrà approdare ad un percorso d’analisi, fatta in un’altra lingua, il francese, che la porterà a guarire.
Nella sua lettura dell’anoressia – che risulta estremamente interessante – tiene insieme due versanti che coabitano in una sorta di paradosso: “L’anoressia porta allo scoperto quello che non va nel profondo. È un’occasione per rimettere un po’ tutto in discussione. Ma è anche una protezione. Che mette a distanza la disperazione, che contiene il magma che si agita all’interno”. E aggiunge: “Si deve solo capire che non è tanto il “sintomo” che fa soffrire, ma la sofferenza che si trasforma in sintomo. Per negoziare con la realtà il prezzo della propria libertà”, ossia ci vuole un tempo per poter accedere a quella sofferenza profonda che l’anoressia mette in luce e nasconde contemporaneamente e il percorso di terapia è chiamato a rispettare questo tempo.
È così che l’autrice scardina uno dopo l’altro tutti i luoghi comuni sull’anoressia e la bulimia, sottolineando che non esistono le anoressiche e le bulimiche, e sostenendo l’importanza della singolarità di ciascuna persona.
È un libro che parla dell’inconscio, della psicoanalisi e di quanto sia importante correre il “rischio di parlare”. Ma è anche un libro che è attraversato interamente dal tema dell’amore.
Si può dire che quest’ultimo va a braccetto con l’anoressia e lo si vede bene quando dice:“L’amore si appoggia sempre e solo su tutto quello che ignoriamo di noi stessi. E che, nonostante tutto, non conosceremo mai”.
Grazie all’analisi l’amore e il rapporto con l’altro si muovono su fili nuovi per questa donna che sin da piccola sognava di fare la scrittrice e per la quale la lingua francese, una lingua diversa dalla lingua materna ha rappresentato un’opportunità nuova di dirsi.
Dott.ssa Beatrice Bosi