Perché essere felice quando puoi essere normale? – Jeanette Winterson
Jeanette Winterson, Perché essere felice quando puoi essere normale?, Mondadori 2012, traduzione di Chiara Spallino Rocca, pp. 214
Una ragazza di sedici anni sta lasciando la casa dei suoi genitori; sulla porta, alla madre dice che vuole essere felice con la giovane compagna che ama, in un rapporto che in casa è ritenuto immorale e peccaminoso. La madre risponde con la frase che è diventato il titolo di questo libro sincero e toccante.
Quell’adolescente ferita ma determinata riuscirà a studiare a Oxford e a diventare una delle più note e apprezzate narratrici inglesi di oggi, a partire da quel 1985 in cui uscì il primo romanzo autobiografico, Non ci sono solo le arance. Questo, invece, non è un romanzo, ogni velo di finzione è caduto e la Winterson ricostruisce la sua vera vicenda di bambina data in adozione da una giovane madre impossibilitata a crescerla, capitata in una famiglia pentecostale, nella severa Inghilterra industriale del Nord. Ma la seconda madre, che in tutto il libro l’autrice chiama Mrs Winterson, come a distaccarsene, è una donna disturbata, convinta di vivere alla Fine dei Tempi, piena d’odio per il mondo e per le gioie più comuni. Nelle lunghe ore trascorse sugli scalini all’esterno della loro piccola casa, lasciata fuori intere notti per motivi misteriosi e arbitrari, la piccola Jeanette matura pian piano la propria resistenza, che diventerà immaginazione e poesia quando più tardi potrà scoprire nella Biblioteca della sua città il mondo dei libri: «Per me, che ero affascinata dal problema dell’identità, dal modo in cui ciascuno si definisce, questi libri furono fondamentali. Leggere se stessi come un’opera di fantasia e non solo come una sequenza di fatti è l’unico modo per lasciare aperta la narrazione, l’unico modo per evitare che la storia ci sfugga procedendo per conto proprio, per approdare, il più delle volte, a un finale che nessuno vuole».
Questa autobiografia è bizzarra e dolorosa, ma piena della luce di una ricerca, che infine si compie, forse rimarginando la ferita del trauma iniziale in una cicatrice con cui si può finalmente convivere. Nel frattempo, le emozioni e il sentimento d’amore hanno trovato nelle parole la loro via, il luogo dove comporsi e aspettare il bene possibile.
Dott.ssa Daniela Cinelli