
Nascere nella parte del mondo più fortunata non è in sé una roba facile. Forse perché la fortuna non è gratis (non questa almeno) e averla costa tanto. L’ossessione di volere avere di più, la paura di non avere abbastanza, il timore di non essere abbastanza, sono questi i prezzi. Alti? Altissimi. Insomma, non moriamo di fame, ma di identità sì. Ci dicono tutto: come dobbiamo vestirci, come dobbiamo muoverci, cosa e chi ci deve piacere, chi e come dobbiamo essere. Allorché, quando ci mancano le indicazioni, siamo disorientati, persi. In balia della nostra inquietante (e finta) libertà dobbiamo scegliere chi essere, cosa fare e cosa vogliamo; ma noi non lo sappiamo senza precise indicazioni. Le nutriamo perché ci nutrono e, così, siamo belli se siamo magri, siamo indispensabili se produciamo, siamo felici se abbiamo. Ma, soprattutto, siamo in salute se non mangiamo carne, glutine, olio di palma, latte e derivati, grassi, zuccheri, lievito e compagnia bella. Un’ossessione? Spesso lo è. Siamo felici? Se la dieta dura poco, sì. Ma se non dura poco, che si fa? Il confine tra interesse e ossessione è sottilissimo, così come quello tra ossessione e disturbo del comportamento alimentare. Oggi, nella nostra ‘società delle indicazioni‘, i disturbi alimentari costituiscono una realtà più complessa di quello che si pensa, fatta di disturbi ‘sotto la soglia’ molto difficili da diagnosticare, e dove il pericolo dell’ossessione si fa strada nutrendosi della crisi dell’identità, fino a diventare disturbo. Fino a diventare malattia.
In occasione della Giornata Mondiale contro l’ossessione della dieta, abbiamo chiesto a Laura Ciccolini, psicologa e psicoterapeuta, Presidente nazionale della Federazione Italiana Disturbi Alimentari (FIDA), fondamenti e aspetti del disturbo del comportamento alimentare, in relazione alle dinamiche e ai tempi della nostra società. I disturbi alimentari, oggi, costituiscono una realtà sempre più concreta per la nostra società.
I disturbi alimentari, oggi, costituiscono una realtà sempre più concreta per la nostra società. In altre parti del mondo, invece, i disturbi alimentari non trovano un terreno fertile. Perché nel mondo occidentale, questi disturbi fanno presa?
Sicuramente l’abbondanza di cibo ha un ruolo fondamentale insieme al modello culturale della magrezza, per cui essere magri significa è essere belli. Il messaggio della nostra società, oggi, è ambivalente: da un lato ci dicono ‘mangia’ e dall’altro ‘sii magro’. Siamo invasi da messaggi ambivalenti di questo tipo e, in questo contesto, fanno presa, con più facilità, le ossessioni e i disturbi del comportamento alimentare.
L’informazione su ciò che nuoce alla salute e su ciò che non bisogna mangiare ha contribuito a far crescere l’interesse per la salute e per le diete prive di alcuni alimenti, come carne, lattosio, glutine (spesso seguite anche senza allergie o intolleranze specifiche), ormai, praticamente di ‘moda’. Ritiene che queste informazioni siano positivamente d’aiuto oppure influiscono negativamente sull’insorgenza dei disturbi alimentari?
Le informazioni influiscono negativamente perché spesso sono distorte da una filosofia di vita che coltiva l’interesse per la salute, che in sé è positivo, ma se esasperato, diventa assolutamente negativo. Uno dei disturbi sempre più diffusi oggigiorno è l’ortoressia, ovvero l’ossessione del mangiare sano, esasperata da un mercato di cibi non contaminati, salutari, biologici. Dunque, l’interesse per la salute, pur essendo una cosa positiva, può tramutarsi in un’ossessione negativa. Bisogna fare buon uso delle informazioni sulla salute, perché è l’uso che se ne fa a renderle pericolose. Adesso vanno di moda le allergie alimentari e le intolleranze non diagnosticate, per cui si fanno da sé diete prive di alcuni alimenti, senza nessuna guida, orientati dall’ossessione del peso e della salute. Queste mascherano i primi segni dei disturbi del comportamento alimentare.
La scelta, sempre più frequente, di fare una dieta particolare, oggi più un’ossessione che un autentico interesse, può contribuire a far sviluppare disturbi alimentare di qualche tipo?
L’ossessione per il corpo e per il cibo possono fare insorgere il disturbo alimentare. Dobbiamo tener conto che, oggi, i disturbi alimentari più diffusi sono quelli ‘non altrimenti specificati’. Parliamo del 61% dei disturbi alimentari, ‘sotto soglia’, che possono sfociare in disturbi alimentari specifici, se non diagnosticati. Sono quei disturbi difficili da diagnosticare perché privi di un quadro specifico e molto pericolosi perché non vengono curati e si trasformano in disturbi alimentari più seri.
I media, oggi, ci bombardano di notizie sulla salute e sul regime alimentare corretto, dandoci spesso informazioni discordanti. Come ritiene che sia giusto approcciarsi a questo genere di notizie, per evitare ossessioni alimentari pericolose?
Forse bisognerebbe insistere sul fronte della prevenzione. Sarebbe importante investire nelle scuole con campagne di prevenzione orientate non tanto sulle indicazioni su cosa mangiare e cosa no, ma sullo spostamento dell’attenzione dei giovani: invece di concentrarsi sul bisogno di apparire in un certo modo, potrebbero concentrarsi sull’elaborazione più cosciente dei messaggi mediatici. Bisognerebbe far capire ai ragazzi che i modelli proposti dai media non devono far presa, che devono concentrarsi su altro e non sul peso del corpo perché non sarà certamente questo a rendergli la vita bella e facile.
Si sostiene che ci siano campagne mediatiche finanziate dalle multinazionali, quanto è vero secondo lei?
Tutto questo è vero. L’industria della dieta è quella che ha più profitti, in relazione a tutte le diete che vengono proposte e vendute alla società. Il mercato della ‘dieta facile’ si lega benissimo all’industria dei prodotti ‘sani’, ‘dietetici’, ‘biologici’, denunciata dall’antitrust ma in continua espansione.
Quali sono le problematiche che accomunano i pazienti affetti da disturbi alimentari? Esse sono più legate alla società o alla famiglia?
L’ossessione per il peso, per la propria immagine e per il cibo sono le problematiche principali attorno a cui ruota la vita di chi è affetto da disturbi alimentari. I messaggi della società fanno presa su chi ha già una vulnerabilità soggettiva molto forte, un disturbo dell’identità alla base che mostra una falla nel mondo familiare: qualcosa non ha funzionato in famiglia, qualcosa ha impedito la costruzione dell’identità forte e, dunque, i messaggi fanno presa soprattutto sui soggetti più vulnerabili. Le problematiche, dunque, sono legate sia alla componente sociale che a quella familiare.
Esiste una componente genetica nella manifestazione dei disturbi alimentari?
Nessuno, in realtà, oggi può dirlo con certezza. Se ne parla, tutto qui.
In Italia quali sono i disturbi alimentari più diffusi? E il numero di persone affette da disturbi alimentari è cambiato negli ultimi anni?
I più diffusi sono i disturbi non altrimenti specificati, il disturbo di alimentazione incontrollata, poi la bulimia e l’anoressia. In Italia, questi disturbi sono in aumento soprattutto quelli dell’alimentazione incontrollata, sia negli uomini che nelle donne. Due novità bisogna sottolineare: molti di questi disturbi si notano già nell’infanzia, mentre, in passato, erano visibili soltanto nell’adolescenza; e, inoltre, i disturbi alimentari sono in aumento anche nel mondo maschile: sempre più uomini soffrono di disturbi del comportamento alimentare, di ortoressia (un disturbo prevalentemente maschile), di alimentazione incontrollata (con conseguente obesità), di bigoressia, che è una specie di anoressia riversa per cui chi ne è affetto è ossessionato dall’allenamento e dai muscoli. Negli ultimi anni, il fenomeno colpisce sempre più uomini perché credo che ci sia un disturbo d’identità e un’attenzione sul corpo sempre più forte, stimolata da un modello culturale di bellezza maschile che è quello dell’uomo muscoloso e curato.
Il nostro Paese a che punto è con le strategie terapeutiche dei disturbi alimentari? Quali sono le più diffuse?
Ci sono vari centri, sia pubblici che privati, abbastanza diffusi, che si occupano dei disturbi del comportamento alimentare. Ci sono anche le comunità terapeutiche. In ogni caso gli investimenti sono pochi e le strutture sono ancora poche se consideriamo che, teoricamente, la presa in carico dei centri dovrebbe essere multidisciplinare, cioé dovrebbe mettere a disposizione più persone, dal dietologo allo psicoterapeuta e allo psichiatra, per organizzare un team efficiente e preparato, in grado di affrontare tutti gli aspetti e le problematiche del paziente.
Quando in una società nascono dei disturbi comuni, inevitabilmente quei disturbi sono riconducibili ad alcune falle presenti nel sistema, che creano le condizioni favorevoli in cui quei disturbi possono manifestarsi. In che modo il nostro Paese contribuisce, secondo lei, a creare le condizioni sociali e psichiche su cui si sviluppano facilmente i disturbi alimentari?
Direi che la comunicazione gioca un ruolo fondamentale. Le pubblicità creano queste falle e, se poi sono unite agli errori delle famiglie, fanno presa subito.
Esistono delle politiche in Italia e in Europa in grado di far fronte a questo genere di disturbi?
Che io sappia, attualmente, non esistono. Potrebbe essere utile compiere un lavoro che parte già negli asili per aiutare le relazioni familiari e per ‘educare’ le famiglie, visto che molte mamme soffrono di disturbi alimentari e finiscono per riversare sui figli, sia verbalmente che non, un ipercontrollo del peso, del corpo e dell’alimentazione. Bisognerebbe partire dalle famiglie, attraverso le scuole primarie, perché nell’adolescenza i giochi sono fatti e, al massimo, si può puntare ad una diagnosi precoce ma non alla prevenzione.