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Relazioni e connessioni: corpi visti e corpi visualizzati

Che il corpo rappresenti un veicolo fondamentale di comunicazione è ormai dato indiscusso. Che la sua importanza sia sempre più pregnante nella realtà sociale e virtuale è sotto gli occhi di (quasi) tutti, ed eclatante sui display dei nostri smartphone.

Se, come è stato dimostrato, l’iperconnettività di oggi plasma il nostro cervello, possiamo pensare, per estensione, che lo faccia anche con il nostro corpo, il quale si modifica e trasforma nella sua concretezza e nelle sue rappresentazioni.

Protagonista dei social network, il corpo è iperfotografato e raccontato. Senz’altro magro, muscoloso e sexy, è un corpo continuamente stimolato e stimolante, che si diverte, si allena, si nutre, prova piacere, si abbandona al relax, parla attraverso brand e ambientazioni sia urbane che esotiche. La narrazione con e sul corpo diventa a tutti gli effetti un’autobiografia: servendosi di colori e filtri vintage, il proprio profilo online risulta una raccolta di fotogrammi emozionali, che funge da memoria del sé. Quasi a rispondere al bisogno di “fermare” un tempo sempre più veloce e imperscurutabile … Questo nuovo diario permanente, condiviso e in continua evoluzione sembra inoltre rispondere al bisogno di “fermare”, attraverso la fotografia, un tempo sempre più veloce e imperscrutabile, e una realtà in continuo e repentino cambiamento.

L’universo social e il suo modo di raccontare il corpo, ha anche un importante impatto culturale. Il mondo sociale virtuale, annullando distanze fisiche e temporali, tende a sfumare i limiti differenzianti. L’assenza di confini crea uno spazio di incontro tra culture, generando nuovi modelli e rappresentazioni estetiche in cui l’interculturalità è giocata attraverso il corpo, sempre più meticciato da tratti e stili esotici.

Allo stesso modo le differenze generazionali divengono meno chiare e definite, narrate da corpi di mamme e figlie adolescenti sempre più simili nelle forme, nei gusti e nelle storie.

Questa rivoluzione culturale ha effetti più profondi sugli adolescenti, che attraversano un periodo in cui la metamorfosi del corpo e la costruzione della nuova identità sociale sono strettamente correlati. L’universo dei social diventa così un laboratorio antropologico all’interno del quale studiare culture, confrontare, sperimentarsi ed esprimere – in primis attraverso il corpo – i propri conflitti, le proprie modalità relazionali e le proprie appartenenze.

Come ogni strumento culturale, anche l’utilizzo di queste piattaforme sociali può esporre a rischi e problematiche. In una generazione in cui il confine tra l’essere “visti” (in senso psicologico) ed essere visualizzati diventa labile e confonde, è possibile talvolta che si instaurino modalità patologiche e disfunzionali. Mai come oggi il giudizio dell’altro è stato chiaro, palese e pubblico. Mi piace o non mi piace: il codice binario del like restituisce un’impietosa valutazione in cui non c’è spazio per le sfumature e il valore sociale diventa conteggiabile numericamente.

Il mondo dei social network nutre il narcisismo dell’“homo digitalis”, alla continua ricerca di autopromozione e conseguente conferma da parte degli altri. In situazioni di particolare fragilità, ad esempio, si può verificare una ricerca ossessiva e dipendente di conferma di sé proprio nell’apparire e nell’essere visti dagli altri. In queste relazioni virtuali l’altro funziona come spettatore piuttosto che autentico interlocutore con cui rapportarsi, e le reazioni del pubblico vengono utilizzate come tasselli per costruire l’immagine di sé.

Nella dimensione del web in cui è centrale la sovraesposizione del corpo e il ragionamento per immagini (più superficiale e carente di spessore emotivo), si può verificare inoltre una sorta di “ossessione per il corpo dell’altro” o dell’altra, continuo metro di confronto nonostante sia soggetto a ritocco o poco corrispondente alla realtà.

Se da una parte i nuovi media e contribuiscono quindi alla continua esposizione di un corpo virtuale spesso troppo distante dai corpi reali grazie alle app di ritocco e personalizzazione, dall’altra la rete offre la possibilità di mettersi in gioco in uno spazio intermedio tra realtà e fantasia, una sorta di mondo “transizionale”: il cyberspace diviene in qualche modo un’estensione della propria mente, che riflette gusti, atteggiamenti e modi di essere, ma che consente anche di giocare, conoscersi, modificar(si), una nuova zona per la creatività, come avviene nell’arte o nello spazio del sogno.

Clara Bergia