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Genitori o cuochi? L’importanza di condividere il pasto con i bambini

Mangiare insieme è diverso da nutrire: entrano in gioco i gesti e le parole, non solo il cibo. Stare a tavola con i piccoli fin dai primi pasti è importante, anche per accompagnarli verso l’autonomia. Di Alessia Marcassa, Psicologa
NIDI cucina vintage mamma

Molto spesso i genitori pensano che sia meglio rispettare gli orari dei pasti prestabiliti piuttosto che spostarli anche di poco per riuscire a mangiare con i propri figli. Soprattutto quando si tratta di bambini piccoli, capita che si dia più importanza a proporre il cibo sempre negli stessi orari rispetto al tentare di mangiare insieme, condividendo quel momento non come un rito quotidiano ma come un appuntamento in cui ci si riunisce e ci si ritrova. Anche se i bambini sono neonati e il pasto comporta una preparazione diversificata rispetto agli adulti, è buona abitudine consumarlo insieme. Questo consentirà al genitore di non sentirsi solamente “cuoco” che fa da mangiare e propone il cibo: potrà concedersi un momento di condivisione e di pausa dalla giornata. I genitori molte volte vivono il momento dei pasti in modo frettoloso a causa dell’organizzazione familiare: o per la presenza di altri figli a cui bisogna preparare qualcosa di diverso, o per sottostare a orari prestabiliti. I pasti, invece, dovrebbero essere vissuti sia dai bambini che dalle figure genitoriali con meno fretta possibile.

Nutrire con il cibo ma anche con parole e gesti 

Mangiare insieme non deve diventare un impegno fra i tanti altri della giornata, ma un desiderio di nutrire non solo con cibo ma anche con parole e gesti il proprio bimbo. Prendersi del tempo durante i pasti aiuterà anche il bambino a diventare più autonomo senza troppa difficoltà, perché non avverrà in maniera repentina e frettolosa ma lenta e graduale. Le acquisizioni migliori e quelle che durano nel tempo sono apprese con una comprensione graduale e con prove continue. In quest’ottica gli sbagli non vengono percepiti con rammarico da parte dei genitori ma come un procedere per tentativi. Questo sentimento aiuterà il bambino a capire che potrà incontrare una comprensione per gli sbagli senza sentirsi inadeguato. Molti bambini sono nervosi durante i pasti e questo stato d’animo spesso è dovuto al fatto che percepiscono di deludere le aspettative dei genitori per non riuscire a fare una determinata cosa oppure perché vogliono mantenere una dipendenza verso di loro. Diventare autonomi, infatti, comporterebbe avere la figura adulta più lontana e meno presente. Consumare il pasto non solo con il cibo ma anche con parole e gesti farà comprendere al bambino che può imparare a mangiare da solo, condividendo altro con le figure che mangiano con lui. Molto spesso le acquisizioni rappresentano una difficoltà proprio per questo motivo: “se io imparo una certa cosa, la mamma o papà non mi starà più vicino come prima perché gli farò capire che non ho più bisogno”. Ogni azione deve essere accompagnata da parole che danno un senso di protezione e vicinanza anche se non si condivide un gesto concreto.

Diventare autonomi è una conquista 

Mangiare insieme comporterà inoltre una sempre maggiore consapevolezza nel bambino di come sia un momento di condivisione e non di immissione di cibo e questo lo aiuterà a voler provare lui stesso a imparare certi automatismi. Alcuni bambini imboccati per un lungo periodo hanno difficoltà ad autonomizzarsi in quanto abituati ad avere sempre il genitore disponibile e a non fare nessuno sforzo. Se condividono quei momenti senza percepirsi come degli “imbuti da riempire” ma sentendosi solo ancora inesperti a portarsi il cibo alla bocca o a bere da soli con il bicchiere, potranno avere voglia di imparare proprio perché hanno accanto un adulto che ha il tempo di insegnare.
Molti bambini acquisiscono certe competenze, soprattutto dal punto di vista alimentare, quando entrano al nido o alla scuola materna. Il motivo è che il confronto con gli altri è uno stimolo a poter imparare cose nuove e diverse. Questi stimoli è bene che provengano in primis dalla famiglia, in questo modo non si farà vivere loro sentimenti di inferiorità rispetto ai compagni coetanei.
Diventare capaci di bere o di portarsi il cibo alla bocca diventa un’importante fonte di sicurezza che li aiuterà a percepire i loro bisogni e necessità senza dover attendere che provengano dall’adulto. Percepire i propri bisogni porterà un confronto con gli adulti che potranno spiegare i giusti tempi in cui si può mangiare. Spesso è bene far comprendere loro che il desiderio può essere ascoltato nell’immediato rispetto a quando è un bene accettare l’attesa e la frustrazione che questo comporta.
Più i bambini acquisiscono capacità, più sarà possibile ai genitori comprendere come “usano” il cibo in base alle situazioni che vivono o alle emozioni che provano.

Gli autori ricordano che in questo blog sono dati consigli generali; per una consulenza personalizzata è sempre opportuno rivolgersi direttamente ad uno specialista.

Alessia Marcassa, Psicologa, Centro CPF – FIDA Torino

Genitori o cuochi? L’importanza di condividere il pasto con i bambini

Di Alessia Marcassa, Psicologa

Mangiare insieme è diverso da nutrire: entrano in gioco i gesti e le parole, non solo il cibo. Stare a tavola con i piccoli fin dai primi pasti è importante, anche per accompagnarli verso l’autonomia.

Molto spesso i genitori pensano che sia meglio rispettare gli orari dei pasti prestabiliti, piuttosto che spostarli anche di poco per riuscire a mangiare con i propri figli. Soprattutto quando si tratta di bambini piccoli, capita che si dia più importanza a proporre il cibo negli stessi orari, rispetto al tentare di mangiare insieme, condividendo quel momento come un appuntamento in cui ci si riunisce e ci si ritrova. Anche se i bambini sono neonati e il pasto comporta una preparazione diversificata rispetto agli adulti, è buona abitudine consumarlo insieme. Questo consentirà al genitore di non sentirsi solamente “cuoco” che fa da mangiare e propone il cibo: potrà concedersi un momento di condivisione e di pausa dalla giornata. I genitori molte volte vivono il momento dei pasti in modo frettoloso a causa dell’organizzazione familiare. I pasti, invece, dovrebbero essere vissuti sia dai bambini che dalle figure genitoriali con meno fretta possibile.

Nutrire con il cibo ma anche con parole e gesti 

Mangiare insieme non deve diventare un impegno fra i tanti altri della giornata, ma un desiderio di nutrire non solo con cibo, ma anche con parole e gesti il proprio bimbo. Prendersi del tempo durante i pasti aiuterà il bambino a diventare più autonomo. Le acquisizioni migliori e quelle che durano nel tempo sono apprese con una comprensione graduale e con prove continue. In quest’ottica, gli sbagli non vengono percepiti con rammarico da parte dei genitori ma come un procedere per tentativi. Questo sentimento aiuterà il bambino a capire che potrà incontrare una comprensione per gli sbagli senza sentirsi inadeguato. Molti bambini sono nervosi durante i pasti e questo stato d’animo spesso è dovuto al fatto che percepiscono di deludere le aspettative dei genitori per non riuscire a fare una determinata cosa oppure perché vogliono mantenere una dipendenza verso di loro. Diventare autonomi, infatti, comporterebbe avere la figura adulta più lontana e meno presente. Consumare il pasto non solo con il cibo ma anche con parole e gesti farà comprendere al bambino che può imparare a mangiare da solo, condividendo altro con le figure che mangiano con lui. Molto spesso le acquisizioni rappresentano una difficoltà proprio per questo motivo: “se io imparo una certa cosa, la mamma o papà non mi starà più vicino come prima perché gli farò capire che non ho più bisogno”. Ogni azione deve essere accompagnata da parole che danno un senso di protezione e vicinanza anche se non si condivide un gesto concreto.

Diventare autonomi è una conquista 

Mangiare insieme comporterà inoltre una sempre maggiore consapevolezza nel bambino di come sia un momento di condivisione e non di immissione di cibo e questo lo aiuterà a voler provare lui stesso a imparare certi automatismi. Alcuni bambini imboccati per un lungo periodo hanno difficoltà ad autonomizzarsi in quanto abituati ad avere sempre il genitore disponibile e a non fare nessuno sforzo. Se condividono quei momenti senza percepirsi come degli “imbuti da riempire” ma sentendosi solo ancora inesperti a portarsi il cibo alla bocca o a bere da soli con il bicchiere, potranno avere voglia di imparare proprio perché hanno accanto un adulto che ha il tempo di insegnare.
Molti bambini acquisiscono certe competenze, soprattutto dal punto di vista alimentare, quando entrano al nido o alla scuola materna. Il motivo è che il confronto con gli altri è uno stimolo a poter imparare cose nuove e diverse. Questi stimoli è bene che provengano in primis dalla famiglia, in questo modo non si farà vivere loro sentimenti di inferiorità rispetto ai compagni coetanei.
Diventare capaci di bere o di portarsi il cibo alla bocca diventa un’importante fonte di sicurezza che li aiuterà a percepire i loro bisogni e necessità senza dover attendere che provengano dall’adulto. Percepire i propri bisogni porterà un confronto con gli adulti che potranno spiegare i giusti tempi in cui si può mangiare. Spesso è bene far comprendere loro che il desiderio può essere ascoltato nell’immediato rispetto a quando è un bene accettare l’attesa e la frustrazione che questo comporta.
Più i bambini acquisiscono capacità, più sarà possibile ai genitori comprendere come “usano” il cibo in base alle situazioni che vivono o alle emozioni che provano.

Gli autori ricordano che in questo blog sono dati consigli generali; per una consulenza personalizzata è sempre opportuno rivolgersi direttamente ad uno specialista.

Alessia Marcassa, Psicologa, Centro CPF – FIDA Torino

Il rapporto tra passato, presente e futuro dei DCA nei legami generazionali.

I disturbi del comportamento alimentare sono profondamente radicati nella storia familiare, dove il soggetto è inserito, e dal quale viene influenzato costantemente.
Il bambino quando nasce appartiene ad un sistema di parentela con le sue regole esplicite ed implicite che conducono ad un alleanza inconscia che lega il bambino ai suoi genitori, pertanto affetti, fantasie, legami e rappresentazioni vengono passati e proiettati nel figlio. Nei messaggi non verbali dei genitori sono contenute le loro aspettative rispetto al futuro del piccolo e le richieste di riscatto dal proprio passato che essi gli muovono. Queste richieste hanno origine da una sofferenza genitoriale non elaborata, influenzando fortemente il bambino, lo sviluppo della sua personalità e il modo in cui si rapporta non solo con gli altri, ma anche con il cibo. Tale sofferenza porta il bambino a identificarsi con questo aspetto doloroso, imponendo a se stesso la realizzazione delle ambizioni genitoriali. Se questo obiettivo non dovesse essere raggiunto,le modalità relazionali e le emozioni disfunzionali passerebbero alle generazioni successive, in particolar modo, la patologia alimentare, andrebbe ad occupare lo spazio vuoto lasciato da un evento traumatico che attraversa più generazioni.

L’influenza del Web sui DCA

Nella società attuale, l’ideale irraggiungibile di un corpo perfetto si è imposto attraverso il web.

Quest’ultimo si è inserito in maniera preoccupante nella vita di molti individui, stimolando comportamenti di imitazione che inducono il perseguimento di immagini poco realistiche e di estrema magrezza che si coniugano con l’ideale di successo e affermazione individuale.

Sono milioni i Blog, forum, chat e siti in cui le persone, specialmente i più giovani, si scambiano consigli e suggerimenti su come diventare adepte della Dea Ana, con l’obiettivo di divulgare l’anoressia come stile di vita.

L’adolescente in cerca di un’identità e di una nuova rappresentazione di se stesso è particolarmente sensibile all’immagine di se che gli altri rimandano e utilizza il proprio corpo come mezzo d’espressione e comunicazione con gli altri. Per questo motivo le persone sono convinte che la possibilità di essere visti e riconosciuti possa passare attraverso un corpo idealmente ed esteticamente bello.

Attraverso l’utilizzo di immagini suggestive e racconti di vissuti distorti, il pericolo maggiore è quello di promuovere l’anoressia come identità.

La funzione di équipe

I DCA sono patologia complesse multifattoriali, che coinvolgono molti aspetti del paziente: fisico, psicologico e familiare. E’ quindi fondamentale che la cura venga effettuata da un’équipe multidisciplinare integrata, composta da varie figure professionali, che possono costituire un percorso “su misura”  specifico e individualizzato per quel soggetto.

L’équipe, nel suo insieme, costituisce la direzione della cura in base alla personalità, alla situazione fisica e alla funzione che il sintomo ha per il paziente.

Una difficoltà in queste patologie è la scissione mente-corpo, che se non viene pienamente elaborata in équipe, non può essere integrata dal paziente, il modo per poterlo aiutare è ripristinare il dialogo interno tra percezione corporea ed elaborazione mentale.

Se la cura non viene costruita in équipe, si rischia di effettuare un lavoro terapeutico che non va ad incidere sulla dimensione somatica, oppure, un lavoro sul corpo, che se non accompagnato da un’elaborazione soggettiva, rischia di essere di breve durata.

Autolesionismo e DCA

Numerosi studi evidenziano l’esistenza di una correlazione tra disturbi del comportamento alimentare e gesti autolesivi. Infatti, circa il 30%-40% delle persone con disturbi alimentari ricorrono o hanno avuto episodi autolesivi . Essendo il corpo il mezzo attraverso il quale comunichiamo con gli altri, molto spesso può diventare in modo inconsapevole la manifestazione di un profondo disagio. I gesti autolesivi possono trovare una spiegazione nel costante bisogno di punire sé stessa a seguito di un pasto “sbagliato”, di un’abbuffata o di un gesto qualsiasi che abbia, per qualche verso, scatenato un senso di colpa incontenibile. Il peso di provare un dolore profondo a cui non si riesce a dare un nome, è talmente ingestibile che causarne uno maggiore sul proprio corpo sposta l’attenzione dal dolore precedente ad uno concreto e governabile. In questo modo, si tenta di controllare lo stimolo spiacevole concretizzandolo in un atto e il ferirsi diviene un semplice mezzo, esattamente come il digiuno o come il vomito, per raggiungere uno scopo, che si tratti dell’annullamento di sé o dell’autopunizione. Quindi queste pratiche come il vomito autoindotto nella bulimia, l’ipercontrollo del cibo nell’anoressia e l’autolesionismo diventano l’unico anestetico efficace che consente di passare da un malessere interiore ad uno corporeo illudendosi così di poterlo gestire.

Le patologie alimentari e l’autolesionismo rappresentano il tentativo di far fronte ad un vissuto traumatico e ad una sofferenza difficili da sostenere dove il corpo diventa il teatro dei conflitti emotivi.pict4229

Intervista su L’INDRO a Laura Ciccolini

Ossessionati per la dieta? Un passo verso la malattia

Nella nostra ‘società delle indicazioni’ le ossessioni alimentari un disturbo. Ne parliamo con Laura Ciccolini 

 

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Nascere nella parte del mondo più fortunata non è in sé una roba facile. Forse perché la fortuna non è gratis (non questa almeno) e averla costa tanto. L’ossessione di volere avere di più, la paura di non avere abbastanza, il timore di non essere abbastanza, sono questi i prezzi. Alti? Altissimi. Insomma, non moriamo di fame, ma di identità sì. Ci dicono tutto: come dobbiamo vestirci, come dobbiamo muoverci, cosa e chi ci deve piacere, chi e come dobbiamo essere. Allorché, quando ci mancano le indicazioni, siamo disorientati, persi. In balia della nostra inquietante (e finta) libertà dobbiamo scegliere chi essere, cosa fare e cosa vogliamo; ma noi non lo sappiamo senza precise indicazioni. Le nutriamo perché ci nutrono e, così, siamo belli se siamo magri, siamo indispensabili se produciamo, siamo felici se abbiamo. Ma, soprattutto, siamo in salute se non mangiamo carne, glutine, olio di palma, latte e derivati, grassi, zuccheri, lievito e compagnia bella. Un’ossessione? Spesso lo è. Siamo felici? Se la dieta dura poco, sì. Ma se non dura poco, che si fa? Il confine tra interesse e ossessione è sottilissimo, così come quello tra ossessione e disturbo del comportamento alimentare. Oggi, nella nostra ‘società delle indicazioni‘, i disturbi alimentari costituiscono una realtà più complessa di quello che si pensa, fatta di disturbi ‘sotto la soglia’ molto difficili da diagnosticare, e dove il pericolo dell’ossessione si fa strada nutrendosi della crisi dell’identità, fino a diventare disturbo. Fino a diventare malattia.

In occasione della Giornata Mondiale contro l’ossessione della dieta, abbiamo chiesto a Laura Ciccolini, psicologa e psicoterapeuta, Presidente nazionale della Federazione Italiana Disturbi Alimentari (FIDA), fondamenti e aspetti del disturbo del comportamento alimentare, in relazione alle dinamiche e ai tempi della nostra società.   I disturbi alimentari, oggi, costituiscono una realtà sempre più concreta per la nostra società.

I disturbi alimentari, oggi, costituiscono una realtà sempre più concreta per la nostra società. In altre parti del mondo, invece, i disturbi alimentari non trovano un terreno fertile. Perché nel mondo occidentale, questi disturbi fanno presa?

Sicuramente l’abbondanza di cibo ha un ruolo fondamentale insieme al modello culturale della magrezza, per cui essere magri significa è essere belli. Il messaggio della nostra società, oggi, è ambivalente: da un lato ci dicono ‘mangia’ e dall’altro ‘sii magro’. Siamo invasi da messaggi ambivalenti di questo tipo e, in questo contesto, fanno presa, con più facilità, le ossessioni e i disturbi del comportamento alimentare.

L’informazione su ciò che nuoce alla salute e su ciò che non bisogna mangiare ha contribuito a far crescere l’interesse per la salute e per le diete prive di alcuni alimenti, come carne, lattosio, glutine (spesso seguite anche senza allergie o intolleranze specifiche), ormai, praticamente di ‘moda’. Ritiene che queste informazioni siano positivamente d’aiuto oppure influiscono negativamente sull’insorgenza dei disturbi alimentari?

Le informazioni influiscono negativamente perché spesso sono distorte da una filosofia di vita che coltiva l’interesse per la salute, che in sé è positivo, ma se esasperato, diventa assolutamente negativo. Uno dei disturbi sempre più diffusi oggigiorno è l’ortoressia, ovvero l’ossessione del mangiare sano, esasperata da un mercato di cibi non contaminati, salutari, biologici. Dunque, l’interesse per la salute, pur essendo una cosa positiva, può tramutarsi in un’ossessione negativa. Bisogna fare buon uso delle informazioni sulla salute, perché è l’uso che se ne fa a renderle pericolose. Adesso vanno di moda le allergie alimentari e le intolleranze non diagnosticate, per cui si fanno da sé diete prive di alcuni alimenti, senza nessuna guida, orientati dall’ossessione del peso e della salute. Queste mascherano i primi segni dei disturbi del comportamento alimentare.

La scelta, sempre più frequente, di fare una dieta particolare, oggi più un’ossessione che un autentico interesse, può contribuire a far sviluppare disturbi alimentare di qualche tipo?

L’ossessione per il corpo e per il cibo possono fare insorgere il disturbo alimentare. Dobbiamo tener conto che, oggi, i disturbi alimentari più diffusi sono quelli ‘non altrimenti specificati’. Parliamo del 61% dei disturbi alimentari, ‘sotto soglia’, che possono sfociare in disturbi alimentari specifici, se non diagnosticati. Sono quei disturbi difficili da diagnosticare perché privi di un quadro specifico e molto pericolosi perché non vengono curati e si trasformano in disturbi alimentari più seri.  

I media, oggi, ci bombardano di notizie sulla salute e sul regime alimentare corretto, dandoci spesso informazioni discordanti. Come ritiene che sia giusto approcciarsi a questo genere di notizie, per evitare ossessioni alimentari pericolose?

Forse bisognerebbe insistere sul fronte della prevenzione. Sarebbe importante investire nelle scuole con campagne di prevenzione orientate non tanto sulle indicazioni su cosa mangiare e cosa no, ma sullo spostamento dell’attenzione dei giovani: invece di concentrarsi sul bisogno di apparire in un certo modo, potrebbero concentrarsi sull’elaborazione più cosciente dei messaggi mediatici. Bisognerebbe far capire ai ragazzi che i modelli proposti dai media non devono far presa, che devono concentrarsi su altro e non sul peso del corpo perché non sarà certamente questo a rendergli la vita bella e facile.

Si sostiene che ci siano campagne mediatiche finanziate dalle multinazionali, quanto è vero secondo lei?

Tutto questo è vero. L’industria della dieta è quella che ha più profitti, in relazione a tutte le diete che vengono proposte e vendute alla società. Il mercato della ‘dieta facile’ si lega benissimo all’industria dei prodotti ‘sani’, ‘dietetici’, ‘biologici’, denunciata dall’antitrust ma in continua espansione.

Quali sono le problematiche che accomunano i pazienti affetti da disturbi alimentari? Esse sono più legate alla società o alla famiglia?

L’ossessione per il peso, per la propria immagine e per il cibo sono le problematiche principali attorno a cui ruota la vita di chi è affetto da disturbi alimentari. I messaggi della società fanno presa su chi ha già una vulnerabilità soggettiva molto forte, un disturbo dell’identità alla base che mostra una falla nel mondo familiare: qualcosa non ha funzionato in famiglia, qualcosa ha impedito la costruzione dell’identità forte e, dunque, i messaggi fanno presa soprattutto sui soggetti più vulnerabili. Le problematiche, dunque, sono legate sia alla componente sociale che a quella familiare.

Esiste una componente genetica nella manifestazione dei disturbi alimentari?

Nessuno, in realtà, oggi può dirlo con certezza. Se ne parla, tutto qui.

In Italia quali sono i disturbi alimentari più diffusi? E il numero di persone affette da disturbi alimentari è cambiato negli ultimi anni?

I più diffusi sono i disturbi non altrimenti specificati, il disturbo di alimentazione incontrollata, poi la bulimia e l’anoressia. In Italia, questi disturbi sono in aumento soprattutto quelli dell’alimentazione incontrollata, sia negli uomini che nelle donne. Due novità bisogna sottolineare: molti di questi disturbi si notano già nell’infanzia, mentre, in passato, erano visibili soltanto nell’adolescenza; e, inoltre, i disturbi alimentari sono in aumento anche nel mondo maschile: sempre più uomini soffrono di disturbi del comportamento alimentare, di ortoressia (un disturbo prevalentemente maschile), di alimentazione incontrollata (con conseguente obesità), di  bigoressia, che è una specie di anoressia riversa per cui chi ne è affetto è ossessionato dall’allenamento e dai muscoli. Negli ultimi anni, il fenomeno colpisce sempre più uomini perché credo che ci sia un disturbo d’identità e un’attenzione sul corpo sempre più forte, stimolata da un modello culturale di bellezza maschile che è quello dell’uomo muscoloso e curato.

Il nostro Paese a che punto è con le strategie terapeutiche dei disturbi alimentari? Quali sono le più diffuse?

Ci sono vari centri, sia pubblici che privati, abbastanza diffusi, che si occupano dei disturbi del comportamento alimentare. Ci sono anche le comunità terapeutiche. In ogni caso gli investimenti sono pochi e le strutture sono ancora poche se consideriamo che, teoricamente, la presa in carico dei centri dovrebbe essere multidisciplinare, cioé dovrebbe mettere a disposizione più persone, dal dietologo allo psicoterapeuta e allo psichiatra, per organizzare un team efficiente e preparato, in grado di affrontare tutti gli aspetti e le problematiche del paziente.

Quando in una società nascono dei disturbi comuni, inevitabilmente quei disturbi sono riconducibili ad alcune falle presenti nel sistema, che creano le condizioni favorevoli in cui quei disturbi possono manifestarsi. In che modo il nostro Paese contribuisce, secondo lei, a creare le condizioni sociali e psichiche su cui si sviluppano facilmente i disturbi alimentari?

Direi che la comunicazione gioca un ruolo fondamentale. Le pubblicità creano queste falle e, se poi sono unite agli errori delle famiglie, fanno presa subito.

Esistono delle politiche in Italia e in Europa in grado di far fronte a questo genere di disturbi?

Che io sappia, attualmente, non esistono. Potrebbe essere utile compiere un lavoro che parte già negli asili per aiutare le relazioni familiari e per ‘educare’ le famiglie, visto che molte mamme soffrono di disturbi alimentari e finiscono per riversare sui figli, sia verbalmente che non, un ipercontrollo del peso, del corpo e dell’alimentazione. Bisognerebbe partire dalle famiglie, attraverso le scuole primarie, perché nell’adolescenza i giochi sono fatti e, al massimo, si può puntare ad una diagnosi precoce ma non alla prevenzione.

 

Intervista su IO DONNA-CORRIERE DELLA SERA a Laura Ciccolini

Quando lui scopre la dieta

Controlla le etichette, conta le calorie, compra solo cibi sani. In Italia l’uomo è molto più in sovrappeso della donna. E se decide di dimagrire, non conosce mezze misure

di Stefania Chiale
Quando lui scopre la dieta

Dimenticate la mucca qualunque. Quella che non pascola nel vostro giardino di casa e non si nutre di erba bio. Le carni bianche possono andare, a patto che siano tracciabili. In alternativa c’è la vera protagonista delle spese di chi cerca “l’alimentazione perfetta”: la soia. Poco importa se contiene fitoestrogeni, estrogeni vegetali che possono interagire con patologie ormonali e favorire il cancro al seno. Bistecche, spezzatino, burger, addirittura würstel di soia: in gran quantità. Il latte? Basta scegliere quello di soia, di riso, di mandorle, d’avena o di qualsiasi altro cereale. La carne rossa è cancerogena, i latticini intossicano, il pesce è pieno di mercurio, i cibi industriali sono il demonio. Dimenticate ovviamente la farina, lo zucchero, il caffè. Il cioccolato può andare, rigorosamente fondente, con una quantità di cacao superiore al 65 per cento. Le verdure vanno benissimo, a patto che siano biodinamiche. E occhio anche alla frutta: né poca, né troppa. In una mela c’è l’equivalente di un cucchiaio di zucchero! In alternativa ci sono sempre alimenti dai nomi esotici: tofu, seitan, tempeh, kuzu. La ricerca del cibo sano a tutti i costi passa per diete più o meno fai da te, lettura maniacale delle etichette e spese che durano ore. E quando la scelta parte da “lui” non esistono mezze misure. Ritrovare la linea o mangiare sano non fa differenza: per un uomo scegliere il cibo diventa una missione. Che in qualche caso sarebbe più esatto definire ossessione.

da "La grande abbuffata"

Ma quanto pesiamo!?
Siamo il Paese della dieta mediterranea e degli abitanti pesanti: 22 milioni di persone sovrappeso (un italiano su tre) e 6 milioni di obesi (uno su 10) fanno dell’Italia una delle nazioni europee più grasse d’Europa. Tra i dati forniti lo scorso gennaio dall’Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation ce n’è uno di genere. A essere sovrappeso sono il 45,5 per cento degli uomini contro il 26,8 per cento delle donne. Il timore di andare a ingrossare le fila di questa maggioranza pesante spinge sempre più uomini a mettersi a dieta e cercare un’alimentazione sana. Cose positive, e che riescono bene all’uomo, finché non diventano – appunto – ossessioni.

Niente rughe per lui
«Quando l’uomo decide di dimagrire, è più determinato della donna. E anche più facilitato» ci spiega Paolo Accornero, medico nutrizionista di Milano, che divide i suoi pazienti maschi in due categorie. «I giovani si mettono a dieta per impulso narcisistico. Sono molto determinati: l’80 per cento di loro ottiene buoni risultati grazie a un’alimentazione controllata (ovviamente non bevendo alcolici) e a molto sport». Diverso è il caso degli uomini dai 40 ai 55 anni: «La motivazione è l’invecchiamento, la paura di perdere tono muscolare e libido. Anche questi soggetti, tenuti a regime, hanno una buona riuscita».
Una ricerca del 2012 dell’Università del Michigan dimostra che l’uomo forzato a dieta dalla moglie non dimagriva, anzi, ingrassava di più. Quando invece l’uomo decide autonomamente di controllare l’alimentazione spesso la sua riuscita dipende dalla complicità femminile e diventa un impegno di coppia: «La maggior parte degli uomini di mezza età in Italia è abituato a fare poco in casa e ad appoggiarsi alla moglie anche per le esigenze salutiste. È lei che fa la spesa, anche per il marito a dieta. È lei che gli cucina la bistecca ai ferri, il seitan e le verdure di stagione. Insomma: la dieta dell’italiano medio di mezza età regge grazie all’aiuto della compagna». Insopportabile. Fino a mandare in crisi più di una coppia. Accornero minimizza: «Un uomo non mette a rischio la tenuta familiare perché vuole il tofu, ma perché trova l’amante!». Sì, ma prima di trovarla, ha voluto dimagrire. E i nervi della moglie ne fanno doppiamente le spese.

Oltre la bilancia
Ci sono anche casi limite tra i 17 milioni di italiani che seguono una dieta alimentare (dati Coldiretti). Quando questa diventa l’obiettivo della giornata, la spesa un’ansia quotidiana e la salute un incubo, la ricerca del cibo sano si trasforma in patologia. L’altra faccia del salutismo a tutti i costi è l’ortoressia, l’ossessione patologica del mangiare sano. Gli uomini, ancora, primeggiano sulle donne. Il ministero della Salute calcola che gli ortoressici in Italia sono 300mila, in prevalenza maschi.
«L’ossessione per il cibo sano diventa malattia quando occupa la mente per troppo tempo» spiega Laura Ciccolini, psicologa e psicoterapeuta di Torino, presidente di Fida, Federazione Italiana Disturbi Alimentari. Una patologia che porta anche all’isolamento sociale: «L’ortoressico evita la cena fuori casa per non incorrere in cibi di cui non conosce l’esatta provenienza». Il motivo per cui colpisce più uomini che donne risiede nelle ragioni delle diete, anche di quelle non patologiche: «La donna» spiega la dottoressa Ciccolini, «è più ossessionata dal corpo e dal peso, non a caso il disturbo alimentare in cui più comunemente incorre è l’anoressia. Per la donna il cibo è un mezzo per controllare il peso, quindi non è interessata alla composizione del cibo. Per l’uomo è il vero oggetto di attenzione». Anche, e soprattutto, quello sano.

Per visualizzare l’articolo originale : http://www.iodonna.it/attualita/in-primo-piano/2016/04/25/quando-lui-scopre-la-dieta/