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TI E’ MAI CAPITATO DI…?

… pensare che i Disturbi del comportamento alimentare possano essere considerati delle dipendenze? 

I DCA potrebbero essere classificati come patologie della dipendenza. Questo perché i comportamenti messi in atto dai soggetti con DCA sono simili a quelli dei tossicomani, degli alcolisti e di altri tipi di dipendenze.

I pensieri e i comportamenti di queste persone sono costantemente focalizzati sul cibo (su ciò che mangeranno o non mangeranno); inoltre, l’attenzione di tali soggetti è continuamente rivolta sul proprio corpo, sul proprio peso e sulla propria immagine riflessa allo specchio.

Anoressia, Bulimia e Alimentazione Incontrollata sono forme di autocura per lenire una sofferenza. Le persone con DCA ricorrono ad oggetti esterni per cercare di stare meglio. Ma l’illusione del benessere dura poco e ci si ritrova nuovamente vuoti e sofferenti; e così ricomincia l’affannosa ricerca di cibo o di perdita di peso per ritrovare il benessere, in un circolo vizioso senza fine. Cibo, corpo, peso, sono tentativi disperati di affrontare un dolore psichico che non ha trovato altro modo per essere elaborato ed espresso.

TI E’ MAI CAPITATO DI…?

 …chiederti perché anche quando ci si vuole curare si resta “attaccati al sintomo”?

Spesso le pazienti che seguono un percorso terapeutico, nel momento in cui avvengono dei miglioramenti , invece di essere contente, cadono nella disperazione e nell’angoscia.

Le persone che stanno loro intorno, di fronte a queste difficoltà, le accusano di non volersi veramente curare.

Il sintomo, nelle pazienti affette da DCA, ha la funzione di manifestare bisogni e sofferenze profondi, che si esprimono attraverso il corpo e il cibo. Le persone non riescono a comprendere il ruolo del sintomo, il significato affettivo che ricopre e lo scopo per cui è stato costruito; per questo motivo, risulta difficile abbandonarlo.

Il terapeuta, nel corso della cura, non combatte il sintomo, ma si mette in ascolto del paziente per aiutarlo a comprendere e a tradurre il significato che questo comportamento patologico può avere per lui, aiutandolo a costruire delle modalità meno distruttive per manifestare il suo malessere.

Solo quando la persona sentirà di aver trovato altri modi per esprimersi sarà in grado di abbandonare il sintomo, perché non sentirà più il bisogno di manifestarlo.

Intervista su FUTURA NEWS a Laura Ciccolini


Giornata del Fiocchetto Lilla: come riconoscere e affrontare i disturbi alimentari

di ADRIANA RICCOMAGNO

Dottoressa Laura Ciccolini

Si celebra oggi, venerdì 15 marzo, in tutta Italia, la Giornata del Fiocchetto Lilla, dedicata alla sensibilizzazione sui Disturbi dell’Alimentazione. A Torino aderisce il Centro di Psicoterapia e Formazione per la Cura dell’Anoressia, Bulimia, Obesità e Alimentazione incontrollata della Federazione Italiana Disturbi Alimentari – Fida, che stamattina apre le porte a chi desidera entrare in contatto con professionisti del settore. La presidente e responsabile del Centro è la psicologa psicoterapeuta Laura Ciccolini, che è anche presidente Nazionale Fida, e ha risposto alle nostre domande.

Quali sono i principali disturbi dell’alimentazione?
“Anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata. Quest’ultimo è poco conosciuto ma in crescita: colpisce trasversalmente tutte le fasce d’età ed è in parte correlato anche al fenomeno dell’obesità, che è in aumento.”

Quali sono le cause?
“Le origini dei Disturbi del Comportamento Alimentare (Dca) sono multifattoriali: entrano in gioco aspetti psicologici, fisici, relazionali, famigliari, sociali. Il punto centrale è che chi ne soffre è una persona in cui non si è sviluppata un’identità stabile.”

Come si interviene?
“Il supporto è fondamentale: non sono disturbi dell’appetito ma della relazione, quindi il trattamento è psicoterapeutico. Trattandosi di problematiche che riguardano diversi fattori, è importante che la presa in carico sia fatta da un’équipe multidisciplinare: oltre allo psicoterapeuta, un medico e una psichiatra. Vanno presi in carico anche i famigliari.”

È possibile individuare dei segnali d’allarme?
“Sì, ad esempio le famiglie possono insospettirsi quando le figlie iniziano a non sedersi a tavola, a rifiutare i momenti dei pasti magari raccontando di aver mangiato prima o di voler mangiare dopo, o a evitare di uscire quando si va a mangiare fuori; oppure quando ci si rende conto che prestano troppa attenzione al cibo, alle calorie, a pesarsi.”

Sono colpite solo le ragazze?
“Le più colpite sono le adolescenti ma oggi si sono ampliate le fasce di età: si va dalle ragazzine in età prepubere o perfino dall’infanzia, fino alle donne in età matura, che si trovano ad affrontare l’invecchiamento e i cambiamenti corporei. I disturbi alimentari sono in crescita anche nei maschi.”

Quanto è importante sensibilizzare su questi temi?
“È fondamentale soprattutto perché se ci si accorge di una problematica alla sua insorgenza è molto più facile intervenire.”

Per visualizzare l’articolo originale: https://www.futura.news/2019/03/15/come-riconoscere-e-affrontare-i-disturbi-alimentari/

Giornata del Fiocchetto Lilla

L’iniziativa parte da un padre, Stefano Tavilla, che ha perso la figlia Giulia a soli 17 anni per bulimia (in lista d’attesa per ricovero in una struttura dedicata) e ricorre il 15 marzo, proprio nel giorno della sua scomparsa.

Questa Giornata offre speranza a coloro che stanno ancora lottando e mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dei Disturbi del Comportamento Alimentare (D.C.A.): Anoressia, Bulimia, Binge Eating, Obesità, EDNOS, e tante e nuove forme ancora… In tutta Italia, in occasione di questa Giornata, vengono organizzati eventi di vario genere: convegni, presentazioni di libri, banchetti informativi, colorazioni lilla di fontane/monumenti, etc.

Gli obiettivi della giornata sono:

  • difendere i diritti fondamentali di chi è colpito da un DCA, combattendo informazioni distorte e/o pregiudizi;
  • sensibilizzare l’opinione pubblica, facendo conoscere la frequenza, le caratteristiche e le gravi conseguenze che questi disturbi possono avere per la salute fisica e psicologica di chi ne soffre
  • scoraggiare il distacco ed il disinteresse da parte di chi non è direttamente coinvolto dalla malattia;
  • accrescere la consapevolezza a livello individuale, collettivo ed istituzionale del carattere di epidemia sociale che i DCA stanno assumendo a livello nazionale e mondiale;
  • creare una rete di solidarietà verso chi è colpito da DCA, personalmente o in famiglia, per combatterne il disagio relazionale e il senso di abbandono e sconfiggere l’omertà che accompagna questi disturbi.

In Italia sono 3 milioni i giovani che soffrono di DCA, un fenomeno spesso sottovalutato sia da chi ne soffre che dai famigliari, e che costituisce una vera e propria epidemia sociale: il 95,9% sono donne, il 4,1% uomini. Soffrire di un DCA, oltre alle conseguenze negative sul piano organico, comporta effetti importanti sul funzionamento sociale della persona, con gravi penalizzazioni della qualità di vita; ne limita le capacità relazionali, lavorative e sociali. Spesso, inoltre, il disturbo alimentare è associato ad altre patologie psichiatriche: oltre, quindi, a provocare un’intensa sofferenza psichica, coinvolge anche il corpo, con serie complicanze fisiche. Tuttavia, solo una piccola percentuale di persone che soffrono chiede aiuto.

Dedicare una giornata-evento ai Disturbi del Comportamento Alimentare significa aumentare l’attenzione della popolazione italiana attorno a queste patologie che utilizzano il corpo come mezzo per comunicare un disagio ben più profondo. E’ quindi fondamentale implementare la corretta informazione intorno ai DCA, per facilitare la comprensione dei meccanismi psico-biologici che favoriscono la malattia e diffondere la consapevolezza che questi disturbi possono essere curati attraverso una rete assistenziale orientata all’individuazione precoce del disturbo, tramite l’attivazione di percorsi riabilitativi multidisciplinari specializzati. Fondamentali per il successo del trattamento sono, infatti, la diagnosi precoce della malattia ed un intervento tempestivo affidato ad un’équipe di medici specialisti.

Tratto da 

Giornata del Fiocchetto Lilla

MASTER – Comprendere e trattare i disturbi del comportamento alimentare

Il Centro CPF-FIDA Torino propone un master specifico per il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare

Finalità del Corso di Perfezionamento
Il corso si terrà a Moncalieri (To), a partire da Marzo 2019 fino a Novembre 2019, presso la Comunità Terapeutica Il Porto, istituzione attiva dal 1983 nel trattamento di persone con disturbi psicotici e disturbi gravi di personalità, associati o meno a dipendenza secondaria da sostanze.
Il Master ha la finalità di formare un numero massimo di cinquanta “operatori”, seguendo un percorso didattico sulla teoria e tecnica della cura dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. Il confronto tra i vari approcci teorici e clinici vuole esplorare le modalità più efficaci finalizzate a modificare l’organizzazione psichica del mondo interno dei pazienti affetti da queste problematiche.
Il corso sarà articolato in 6 sessioni tematiche che si svolgeranno il venerdì pomeriggio e il sabato mattina per un totale di 63 ore di formazione. Le sessioni tematiche prevedono approfondimenti dei diversi ambiti della teoria e della tecnica: partendo dai criteri diagnostici più accreditati per i disturbi dell’alimentazione e della nutrizione si proseguirà esplorando gli approcci terapeutici nell’infanzia e nell’adolescenza, il lavoro con le famiglie, l’approccio psicodinamico alla comprensione e al trattamento, la specificità dei DCA maschili, l’esposizione di un modello di intervento multidisciplinare integrato e i percorsi terapeutici possibili.
Il corso prevede come docenti alcune della personalità più autorevoli in Italia nell’ambito della diagnosi e del trattamento di questi disturbi.
Il programma del master prevede inoltre la partecipazione gratuita degli iscritti ad un convegno nazionale dal titolo “Anima e corpo del femminile” in programma per il 07 Giugno 2019 presso la sala congressi della GAM a Torino.
I direttori del corso effettueranno durante lo svolgimento del Master due riunioni di verifica serale con il gruppo degli iscritti.
Al termine dell’ultimo incontro a chi si sarà iscritto a tutte le sessioni verrà rilasciato un attestato che certifica la partecipazione al corso di perfezionamento.

Accreditamento ECM
La partecipazione al corso assegna complessivamente 50 o più crediti formativi (dagli 8 ai 12 crediti formativi per ogni sessione oltre 2/4 crediti per il Convegno) alle seguenti figure professionali: Medico, Dietista, Psicologo, Educatore, Infermiere, Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica.
Il rilascio della certificazione è subordinato alla partecipazione effettiva dell’intera sessione e alla verifica dell’apprendimento.
Segreteria Studenti: iscrizione e costi
Per informazioni e iscrizioni scrivere a Vadis Cappa. E-mail: [email protected]

Il Costo del corso è di 750 euro (esente IVA art.10). Per chi si iscrive entro il 31 gennaio 2019 il costo del corso è di 650 euro.
Per gli specializzandi universitari e scuole di psicoterapia 600 euro fino al 31 gennaio 2019; 700 euro dal 01 febbraio 2019.
Per gli studenti in Medicina, Psicologia, Scienze infermieristiche, Scienze dell’educazione e Tecnici della Riabilitazione Psichiatrica la riduzione è di 550 euro (per un massimo di 5 persone).
Per chi fosse interessato ad iscriversi ad una singola sessione del Master potrà contattare la segreteria organizzativa all’indirizzo e-mail [email protected] per conoscere il costo di iscrizione e la disponibilità o meno di posti
Sarà possibile iscriversi unicamente al Convegno Internazionale dal titolo “Anima e Corpo del femminile” in programma per il 07 Giugno 2019 a Torino. Il costo dell’iscrizione sarà di 60 euro. Per le iscrizioni contattare la segreteria organizzativa all’indirizzo: [email protected]

PDF PROGRAMMA MASTER

Non premiate i figli con il cibo, il rischio è un disturbo alimentare

Dare l’alimento preferito quando sono tristi potrebbe causare obesità. Il rapporto emotivo-alimentare deve essere formato già da piccoli per evitare dipendenze e obesità

MANGIARE per esprimere emozioni. L’emotional eating, ovvero la fame emotiva è un problema diffuso. Chi non riesce a gestire emozioni come la tristezza, la rabbia o l’ansia cerca rifugio nel cibo. Ci si sfoga mangiando tanto e male. Una vera e propria abbuffata anti-stress.

·INSEGNAMENTI SBAGLIATI 
Ma l’emotional eating non è una cattiva abitudine che appartiene solamente agli adulti. Sembrerebbe che anche i bambini mangino quando sono tristi. Secondo uno studio condotto dall’University College London (UCL), la causa principale per la fame emotiva è l’ambiente familiare. I genitori insegano ai propri figli ad esprimere i propri sentimenti attraverso la nutizione.  Quando si dà al bambino il suo piatto preferito per consolarlo, lo si abitua a credere che i problemi si risolgano mangiando. Il cibo viene usato come sostituto per regolare le emozioni. Questo comportamento è problematico perché fa aumentare il rischio di obesità.

·LO STUDIO 
I ricercatori dell’UCL hanno osservato 398 gemelli britannici al quarto anno di vita. Metà di questi bambini erano figli di genitori obesi per cui a rischio maggiore di obesità. L’altra metà erano figli di genitori normo-peso. Inoltre hanno analizzato se le abitudini cambiavano fra gemelli identici ed eterozigoti. Le differenze tra questi erano minime, il che ha portato i ricercatori ad affermare che la fame emotiva è causata principalmente dall’ambiente familiare. Per cui non è ereditaria come si è soliti a pensare.

·STRATEGIE PER CONSOLARE I BAMBINI 
Ma esistono strategie migliori per rassicurare i figli. “Usare il cibo come mero rinforzo positivo per consolare i bambini, il comfort food, o ricompensarli per un certo comportamento comporta dei rischi, sia sul piano nutrizionale che su quello psicologico-emotivo – spiega Roberto Sacco, psicologo del Campus Biomedico di Roma – . Spesso, i cibi che sono utilizzati come strumento di consolazione possiedono alti contenuti di zuccheri e possono determinare, fra l’altro, fenomeni di dipendenza alimentare attraverso l’attivazione dei circuiti neuronali della ricompensa che sono gli stessi che si attivano nel caso delle dipendenze da droghe o sostanze psicoattive. Per consolare i figli sarebbe molto meglio usare un dialogo costruttivo, il contatto fisico e il gioco”.

·COMPORTAMENTO EMOTIVO-ALIMENTARE 
Ma se i bambini hanno già acquisito questa abitudine di mangiare quando provano forti emozioni, cosa possono fare i genitori per cambiare questa consuetudine? “In caso di fame emotiva, ovvero quando i bisogni alimentari non coincidono i bisogni di natura emotiva, siamo di fronte ad un problema comportamentale” – continua Sacco. “Bisogna, infatti, capire perché le persone mangiano anche quando non vogliono o anche quando dovrebbero evitare di farlo per problemi di salute. Il genitore può aiutare il bambino a renderlo più consapevole delle proprie scelte alimentari (perché e quando mangi) attraverso la scelta dei cibi, la conoscenza dei cibi stessi, la quantità dei cibi ingeriti, le conseguenze a breve e a lungo termine. In questo modo si può provocare un cambiamento duraturo delle abitudini alimentari. Far capire al ragazzo la connessione che c’è tra cibo ed emozioni e come i comportamenti alimentari sono influenzati dalle emozioni, ovvero che talvolta tendiamo a mangiare soltanto perché certi cibi ci aiutano a gestire delle situazioni emotivamente difficili. Inoltre, l’emotional eating non risolve i problemi emotivi ma solitamente li peggiora perché può svilupparsi anche il senso di colpa per avere ‘mangiato troppo’ o per avere mangiato cose non necessarie o addirittura pericolose”.

·IL BINGE EATING 
Lo studio ha messo in evidenza che consolare i bambini con il cibo può alzare il rischio di obesità. Ma allora se un genitore premia i figli con il loro piatto preferito, o per punizione glielo priva, c’è il rischio che sviluppino dei disturbi alimentari come l’anoressia nervosa o la bulimia? “L’evidenza scientifica circa il ruolo del cibo utilizzato come premio/punizione in età infantile e lo sviluppo successivo di disturbi del comportamento alimentare non è stata accertata. È vero, tuttavia, che l’emotional eating può rappresentare un fattore di rischio significativo per l’insorgenza di disturbi come la Bulimia o il Binge Eating o anche l’obesità (anche in riferimento a quella infantile che rappresenta una vera e propria epidemia sociale nei paesi occidentali). Può essere necessario, in questi, suggerire un trattamento psicoterapico individuale e nel caso di bambini anche un percorso psicoeducativo per i genitori”.  Per cui quando i bambini sono tristi o frustrati è meglio fargli parlare e giocare che mangiare.

 

Articolo di Francesco Merola tratto da repubblica

https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2018/06/28/news/la_fame_emotiva_dei_bambini-200003650/

Straniera nel suo corpo: breve viaggio nel mito dell’invisibilità

 

“…Errava un giorno lungo le rive del fiume, quando, tra sole e ombra, scorse una bionda e bella giovinetta. Era Dafne la figlia di Peneo, divinità fluviale del luogo. La vide Apollo e si accese d’amore per lei e fece per avvicinarla. Ma Dafne era timida e ritrosa, e fuggì via. Una paura folle la incalzava. Il Dio accelerava la corsa; le era ormai vicino, sempre più vicino, stava per raggiungerla; e a lei la lena mancava e la paura cresceva.

– Terra madre, aiutami! – implorò.

Ed ecco sentì che la terra la tratteneva nell’impeto, la radicava a sé, l’avvolgeva tutta di una carezza materna. Il ritmo affannoso del cuore si placava lento, lungo. Il sangue ardente per la corsa, diveniva fluido e fresco.

– Dafne!

Con un ultimo slancio, con un grido di vittoria, il Dio le fu accanto e tese le braccia e le mani;e le mani divine urtarono a una scabra corteccia di albero. Dafne in sé stessa rideva sicura: una dura scorza ormai l’inguainava; le sue braccia levate e le sue mani aperte nell’ultima invocazione di aiuto e le sue chiome agitate nella corsa erano fatte rami e ramicelli e si infogliavano di verdi foglie lucenti. Un alloro!

Apollo guardava smarrito, deluso, triste. Con un sospiro staccò una fronda dall’albero e se ne cinse le tempie.

E la risata di Dafne, che or ora scoteva le fronde in un lieto sfrascare, non fu più che un soave mormorio di foglie nel sospiro del vento.”

(Dafne e Apollo, Eugenio Treves, “Dei ed eroi”)

Sembra risalga al 1873 la definizione di anoressia isterica da parte di Lasègue o anoressia nervosa da parte di Gull (1874): da qui in poi i comportamenti misteriosi ed enigmatici, nonché angoscianti, di astensione dal cibo e ricerca di un corpo esile saranno sempre più connessi all’area della medicina.

In precedenza tali comportamenti erano, invece, appartenuti al mondo del magico o dello spirituale o del mistero.

Il mito, le fiabe, la letteratura ci narrano storie di abusi alimentari o di deprivazione e il cibo è spesso foriero di sciagura. Nella fiaba di Hansel e Gretel i due fratellini a causa della loro sfrenata ghiottoneria rischiano di finire nel forno della strega. La fame li conduce in una situazione di pericolo ma poi scoprono il pericolo e nel forno finisce la strega. Il forno è il luogo che trasforma i cibi in alimenti e permette la sopravvivenza, ma è anche un luogo di morte. Ancora, tra le fonti letterarie troviamo la nozione di cibo “cattivo” come distruttività nell’abbondanza o nella deprivazione, al quale si oppone il cibo “buono” che porta amore, emozioni nuove. E’ il caso di Babette, la protagonista del racconto della scrittrice inglese Karen Blixen, che attraverso un pranzo, curato minuziosamente in tutti i suoi ingredienti, risveglia lo spirito, le passioni e i desideri di una tranquilla cittadina norvegese fino ad allora votata per scelta ideologica alla rinuncia dei piaceri terreni, considerati fonte di illusione. Di esempi se ne potrebbero fare tanti altri: potremmo citare Vianne la protagonista di Chocolat, romanzo della scrittrice britannica Joanne Harris, che durante il digiuno quaresimale apre una cioccolateria al centro di un tranquillo paese stravolgendo le abitudini dei suoi abitanti. Il cioccolato peccaminoso diventa la tentazione che induce al male finché il Conte, il maggiore sostenitore della guerra contro Vianne, perderà il controllo dei suoi abitanti e deluso e affranto deciderà di distruggere con ogni mezzo la cioccolata. In realtà sarà sopraffatto dalla sua bontà e dal potere del sapore, e, dopo il lungo digiuno forzato, anche in lui si riaccenderanno i desideri e si aprirà così alla possibilità di una nuova vita più ricca di emozioni e di amore.

Sono certamente tanti e diversi i modi di avvicinarsi ai problemi dell’alimentazione: indagare nel mito e nella tragedia può rivelarsi utile ad esplorare alcune tematiche riguardanti l’immagine corporea, l’ossessione per la perfezione, l’incapacità di usare il proprio corpo per trarne piacere. Nelle Baccanti di Euripide il digiuno viene utilizzato per allontanarsi dalle tentazioni della carne e andare verso la purificazione dell’anima.

La storia del digiuno, l’interazione tra l’individuo e la cultura nel tempo, può avvicinarci al mondo interno delle attuali anoressiche e capirne meglio i loro vissuti.

Di anoressia intesa come domanda di aiuto, richiesta di conforto e di riconoscimento di un dolore tanto forte e lacerante da non riuscire ad articolarlo se non in un linguaggio universale che è quello del corpo, parla appunto la mitologia. Nel mito dell’eroe tessalo Erisittone questi, per aver abbattuto un pioppo nero nel bosco sacro consacrato a Demetra, viene condannato a una fame incessante e devastatrice, violenta e insaziabile che niente può soddisfare. Erisittone divorerà così tutte le risorse che ha nella sua casa e alla fine, impazzito, divorerà se stesso. Un mito questo che può essere elaborato anche nei termini di confini tra interno ed esterno, desiderio e divieto, colpa e punizione. Fame è l’allegoria della fame, il suo nome è la traduzione di Limos, Ovidio la collocherà nell’inferno accanto alla povertà. Erisittone muore per la fame che pur soddisfacendo con le sue ricchezze non riesce a placare.

La pericolosità che sottende l’abbondare di cibo si ritrova anche nel suo opposto, il deprivarsene. Morire per fame è nell’antichità il male peggiore che possa accadere, eppure nella mitologia e nella letteratura sono molti i casi di scelte di rifiuto volontario del cibo. Sempre Ovidio nelle sue Metamorfosi racconta come la sofferenza consumi il corpo di Eco che viene punita da Era perché con le sue chiacchiere la intrattiene proteggendo gli amori di Zeus con le ninfe della montagna. La punizione consiste nel poter solo ripetere le ultime lettere delle parole gridate da qualcuno e questo le impedirà di comunicare il suo amore a Narciso. Per il dolore non mangerà facendo deperire il suo corpo di cui rimarrà solo la sua voce. Narciso si innamorerà della propria immagine riflessa e l’impossibilità del suo amore lo porterà ad astenersi totalmente dal cibo e trasformarsi in un fiore. Anche in questo mito è possibile intravedere il comportamento alimentare dell’anoressica: nello specifico, la Grande Madre Era impedisce alla figlia di esprimersi e non la educa alla relazione con l’altro sesso.

Euripide nella sua Medea racconta come la sofferenza procuratale dal tradimento di Giasone l’avesse fatta sciupare e tra gli eroi anoressici troviamo anche Fedra che a causa del suo amore segreto per il figliastro non riesce a mangiare più nulla. La malattia di Fedra è l’amore, la cura l’anoressia. Fedra cerca, nella mortificazione degli istinti primari, tra i quali la fame, la purezza e un corpo non contaminato, tutto questo per l’impossibilità di vivere il suo amore incestuoso nei confronti del figliastro. Nel deperimento del corpo, nella mortificazione degli istinti primari, su cui trionfa la fame, Fedra, con la determinazione delle eroine tragiche, ricerca purezza, invocando il controllo della mente su un corpo impazzito, che impallidisce e smania senza controllo. L’obiettivo principale di Fedra consiste nell’evitare che la sua passione diventi nota e sceglie di perseguirlo attraverso l’anoressia, la ricerca di un corpo androgino, asessuato; il desiderio di kryptein, di coprirsi, l’imposizione del sigàn, del silenzio quasi a negare l’esistenza stessa dell’amore adultero ed incestuoso.

Sintomo opaco, criptico, mimetico, l’anoressia può anche essere letta come l’affermazione di un potere intrinseco che non ha potuto svilupparsi e affermarsi e che trova la sua espressività nell’interessarsi e nel prendersi cura degli altri, come gli dei della mitologia che prendevano parte alle vicende dei loro eroi, ma sorridevano con distacco della loro fragilità e debolezza. Rivolgersi alla Grecia, ai suoi miti, al grande mondo delle opere tragiche, leggere le storie cliniche e di vita delle pazienti anoressiche attraverso i protagonisti delle tragedie greche se da un lato ci consente di riportare le esperienze dolorose dell’uomo al loro fondamento mitico, dall’altro ci permette di capire che la sofferenza umana, prima di divenire patologia psichica, rappresenta soprattutto sfondo simbolico e tragico dell’uomo.

La storia delle figure tragiche del teatro greco fornisce, nello specifico con Antigone, un interessante modello paragonabile alla vicenda personale dell’anoressica. Sia Antigone, sia l’anoressica, condividono l’ostinazione nel perseguire i propri obiettivi e a nulla valgono seduzione, violenza, ricatti, tenerezza, richiami all’intelligenza o al buon senso, messi in atto da coloro che praticano un discorso differente.

Immerse entrambe in una sterilità mortifera e in un rifiuto di aprirsi all’altro ed alla sessualità dell’altro, narrano l’inquietante presenza del fantasma materno e paterno. Calate in una cerimonia di sacrificio in un atto che rimanda all’ordine simbolico, fondamento dell’ordine umano, laddove più confusi appaiono i registri del reale, del simbolico e dell’immaginario, condividono una mimesi del morire, dunque, un essere.

Antigone, come l’Anoressia, manifesta un sentimento di familiarità con la morte, privo di timore e di disperazione e quasi animato da una fiducia mistica. Le anoressiche, come evidenziato dalla Bruch, sono portatrici di un’identità femminile ambigua e limitata. Se le anoressiche, allorché innescano il meccanismo della perdita di peso, sono in grado di influenzare il proprio ambiente ed imporre il proprio destino, Antigone, da parte sua, si pone come alternativa al controllo maschile istituzionalizzato.

Giorgio De Santillana che ha riscoperto nella mitologia la necessità di fermare la realtà e il suo movimento perché si compia l’atto magico, sostiene che la magia della mente della anoressica si realizza fermando il corpo e con esso la realtà. Proprio questo desiderio di tener bloccato il corpo e con esso la realtà in modo da non doverci pensare più è il nucleo folle della ragazza anoressica. La fame dirompente e assoluta che le anoressiche tentano invano di cancellare per inseguire il mito radicale della magrezza solo in apparenza è rivolta al cibo. In realtà è un’insaziata fame d’amore, fame di rapporti autentici, una brama di una vita più piena e più ricca di significato. Paradossalmente il loro non vivere sembra l’unica possibilità di vivere. L’anoressica vorrebbe avere tutto, vorrebbe “mettersi dentro tutto”, ma nel suo corpo non c’è sufficiente spazio, così preferisce dichiarare di non voler niente. Mette così il suo corpo fra sé e l’altro come difesa, per metterlo a bada e tenerlo a distanza, perché teme che la divori con quella stessa voracità che percepisce dentro di sé.

Non si sono mai sentite libere, da bambine, le anoressiche: libere di essere infantili, e diventate adolescenti, l’aumento del carico sociale, l’importanza dell’aspetto estetico, determinante nei rapporti interpersonali e nella stima di sé, possono dare adito a una messa in crisi dei valori nella quale sono cresciute. Un evento banale per gli altri, l’inizio di una dieta, una relazione difficile, un voto scolastico deludente può assumere i tratti di un evento foriero di destabilizzazione. Prive di appetito, hanno paura del loro desiderio, del desiderio dell’altro e di desiderare, temono il contraccambio dell’amore, Antheros. Il diniego del bisogno di coinvolgimento, l’imbarazzo, il disagio nel dover ammettere di essere coinvolte le porta a prosciugare tutte le riserve a disposizione, inaridendo gli istinti di sopravvivenza a favore di un’intellettualizzazione che sembra non conoscere limiti.

Dafne sentendosi braccata è costretta a chiedere alla madre Terra, protezione. Le sue passioni rimarranno intatte solo se non si scontreranno con il principio ordinatore estetizzante. La dura scorza la illuderà di poter mantenere un confine forte tra le sue incomunicabili passioni e l’arte della comunicazione. Un ritorno alle radici, la illuderà di poter trovare nutrimento prestando fede alla forza naturale ma indifferenziata della Madre. La passionalità primigenia di Dafne si scontra con la freddezza apollinea.

Nell’anoressica, se l’incontro con la funzione sociale apollinea (e la nostra società lo testimonia, se non altro nelle apparenze e nelle intenzioni) acquista i caratteri di uno scontro, può accadere che il “conosci te stesso” e il “rispetto del limite” la faccia improvvisamente sentire mancante di qualcosa e senza chiedere, ci costringerà a prenderci cura del suo nutrimento, poiché come una pianta in un vaso non ha la capacità di procacciarselo autonomamente.

L’anoressica esprime contestualmente distanza e dipendenza, freddezza e tenerezza, rabbia e compassione.

Anoressia, del resto, è parola che deriva dal termine greco “orexis” che significa brama, desiderio, passione e l’anoressia a ragione può essere considerata anche come una passione, uno stato di violenta e persistente emozione erotica in contrasto con le esigenze delle ragione, la realizzazione della sessualità, la concretezza di un corpo sessuato, che implica la discontinuità tra la sessualità perversa polimorfa infantile e la sessualità adulta, incarnata dal periodo della pubertà, e impone la scelta di appartenenza di genere.

Il corpo dell’anoressica ci parla, infatti, di un sé che rifiuta la pubertà e la femminilità, la fertilità, la floridezza delle curve della donna anticipatrice di accoglienza e promessa di maternità. È come se il sé volesse regredire al corpo bambino, per restare tale per sempre, prigioniera in un corpo efebico che non può, non sa, non vuole affrontare il passaggio d’Acheronte che porta a quello che vive come l’inferno della corporeità e della esistenza adulta. Quasi volesse resistere a oltranza a questo passaggio, con tutte le tragiche forze di un’ossessione inconscia, radicale, violentissima, spesso giocata oltre che sul controllo del cibo, in nicchie difensive ossessivamente controllabili quali lo studio, l’esercizio di professioni o di sport che richiedano elevati livelli di autocontrollo e di perfezionismo.

Muovendo dal valore simbolico della malattia e del linguaggio enigmatico dei sintomi, riletti attraverso il mito, è possibile prendere le distanze dalla visione riduttiva delle discipline medico-cliniche (e psicoanalitiche) e riconnettere, attraverso il simbolo, la vicenda della storia personale a quella della cultura. Questo approccio ci consente di “vedere” nelle ragazze in anoressia che vivono tutte intente a calcolare le calorie e a sottoporre i loro corpi a estenuanti esercizi fisici, un dramma ben rappresentato dal mito: quello dell’anima fanciulla che viene rapita da una oscura forza sovrapersonale e gettata in un mondo altro e sconosciuto. Il corpo della ragazza così svuotato della sua anima, tenderà a scomparire, forse nell’inconscio tentativo di seguirla e di farsi simile ad essa. Mari Ela Panzeca, scegliendo una chiave di lettura mitica dell’anoressia ci offre la possibilità di vedere gli scenari profondi e inconsueti dell’anima fanciulla “corteggiata” dalla morte. Da questa tensione di opposti può scaturire la “terza via” che Jung ha sempre indicato come “soluzione”, vale a dire come contatto fra il mondo interiore e quello esteriore.

 

Articolo di Carmen Bilotta, tratto da Mediterranea.eu:

http://www.mediterraneaonline.eu/straniera-nel-suo-corpo-breve-viaggio-nel-mito-dellinvisibilita

ORTORESSIA: DISTURBO Sì O NO ?

ORIGINE DEL TERMINE

Il termine ortoressia deriva dal greco orthos=corretto e orexis=appetito ed è stato introdotto da Steve Bratman nel 1997, per indicare una condotta alimentare patologica caratterizzata da una ricerca, quasi maniacale, di cibo “ritenuto” sano.

MANIFESTAZIONI SINTOMATOLOGICHE 

L’ortoressia, pur non essendo ancora riconosciuta a livello diagnostico dalla comunità scientifica,  è una condizione che rappresenta buona parte della popolazione con disturbi alimentari. L’ortoressia è caratterizzata dalla messa in atto di una rigida selezione di alimenti e un rifiuto, quasi fobico, per determinati cibi “non salutari”. Gli aspetti invalidanti del disturbo comprendono la messa in atto di comportamenti pervasivi dannosi per qualità della vita del soggetto, come diete scorrette, isolamento sociale e deterioramento dei contatti, associati a rimuginazione ossessiva sul cibo, sulla ricerca e sulla preparazione dello stesso.  L’ortoressia appare maggiormente diffusa nel genere maschile.

ORTORESSIA, ANORESSIA E BULIMIA A CONFRONTO 

Ortoressia e anoressia sono accomunate da un controllo rigido sul cibo, di fatti alcuni considerano la prima come precursore della seconda. Rispetto alla Bulimia e all’Anoressia, le credenze associate al cibo, nell’ortoressia riguardano la qualità e non la quantità. Tuttavia, sembrano esservi dei punti in comune nella popolazione di pazienti che presenta tali disturbi: il perfezionismo, la distorsione dell’immagine corporea, la bassa autostima, la disturbata regolazione degli affetti e i disturbi dell’attaccamento. Questi fattori di fatti giustificano l’alta comorbilità e le difficoltà circa diagnosi e trattamento.

Fattori di rischio socioculturali e DCA

I Disturbi del Comportamento Alimentare sono, da più di dieci anni, argomento all’attenzione di tutti. Tale fenomeno può essere dovuto a diversi fattori, quali: le mode imposte dalla società contemporanea e i nuovi ideali di bellezza diffusi dai mass media; inoltre, la grande quantità di libri e testi che incoraggiano particolari stili di alimentazione e diete dimagranti hanno influenzato enormemente il regime di vita dei propri lettori. L’eccessiva importanza che le società occidentali danno all’alimentazione, al peso e all’immagine corporea è considerato il fulcro scatenante dei principali disturbi del comportamento alimentare (Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa, Binge Eating e Obesità).

L’ampia letteratura scientifica suggerisce la presenza di numerosi fattori di rischio per l’insorgenza della patologia alimentare. Ne sono un esempio i fattori di tipo genetico o ambientale, i fattori legati allo stile di accudimento familiare e i fattori di tipo socioculturale (su cui ci focalizzeremo maggiormente).

Fattori predisponenti e scatenanti/ conicizzanti

Prima di approfondire i fattori di rischio socioculturale è interessante introdurre una suddivisione proposta da Garner e Garfinkel. Questi studiosi hanno ipotizzato la presenza di due tipi di fattori legati al disturbo alimentare: quelli predisponenti e quelli scatenanti/cronicizzanti.

I fattori predisponenti risultano essere:

  • Individuali: carenza di una buona autostima, identità e propria autonomia, nonché una patologica preoccupazione per il peso e la forma corporea;

  • Familiari: caratteristiche demografiche e stili educativi improntati sulla bellezza, la performance e il controllo del peso corporeo;

  • Culturali: nuovi ideali di bellezza e magrezza, nonché nuovi stili di performance cui uniformarsi.

I fattori scatenanti/cronicizzanti risultano essere suddivisi in:

  • Individuali, familiari e culturali: avere familiarità e seguire diete alimentari, partecipare a dinamiche familiari disfunzionali che alterano il normale clima familiare ed essere soggetto di eventi che minano la propria autostima.

Il ruolo dei mass media

L’ambiente socioculturale all’interno del quale un individuo è nato e cresciuto è uno dei maggiori fattori di influenza per l’insorgenza della patologia alimentare, soprattutto per gli adolescenti. L’ideale della bellezza e perfezione associata a corpi magri e a diete ferree è causato da società che danno eccessiva importanze ad alcuni aspetti disfunzionali. Tra questi aspetti troviamo: l’eccessiva cura del proprio corpo, il mantenimento di una figura corporea smilza ed eccessivamente magra, ed il senso di competitività basato sull’aspetto esteriore (associato ad emozioni negative quali rabbia, rassegnazione e senso di inadeguatezza). I mass media, le pubblicità e le riviste promuovono modelli di bellezza e perfezione corporea che difficilmente rispecchiano la realtà comune. Purtroppo, esistono siti web che promuovono comportamenti pro-anoressia, diete dimagranti e ideali di bellezza corporea che sono, in realtà, patologici.

Adolescenza: età a rischio

Siamo immersi in una società che promuove ideali e standard di bellezza che non sempre sono appropriati. Questi vengono introiettati dagli adolescenti ed utilizzati per verificare la propria adeguatezza sociale e fisica.

Infatti, sono soprattutto gli adolescenti più deboli che subiscono le influenze promosse dagli stereotipi proposti dalla società. Questi, per far fronte alla loro bassa autostima, si adeguano ai modelli socioculturali senza avere sufficienti risorse per evitare l’insorgenza della patologia.

Una volta sviluppata la patologia alimentare, questi adolescenti usano il proprio sintomo come unico mezzo di contrasto contro l’incapacità di esprimere la propria sofferenza ed il proprio vissuto emotivo di disagio.

Conclusioni

E’ molto importante non sottovalutare l’influenza che le nuove mode alimentari e i nuovi standard di bellezza possono avere su adolescenti particolarmente fragili. La patologia alimentare, se sviluppata in un periodo critico come l’adolescenza, tende a cronicizzarsi velocemente, diventando l’unica via per il controllo di sé stessi e del proprio corpo, nonché unico modo per stare al mondo senza un’angoscia e una sofferenza soverchiante.

Tratto dalla Tesi di Laurea Magistrale “L’influenza del costrutto di Alessitimia sullo sviluppo e il decorso dei Disturbi del Comportamento Alimentare. Un’analisi dei modelli di intervento integrato: l’esperienza CPF-FIDA di Torino” di Dott. Oliviero Donà. 

Quando i genitori non vedono l’obesità dei bambini

“Riconoscere un problema che riguarda il peso dei figli non è facile. L’alleanza tra famiglia e specialisti è fondamentale.” Di Alessia Marcassa, Psicologa, Centro CPF – FIDA Torino.
Negli ultimi anni sono state condotte numerose ricerche sull’obesità infantile, in crescita soprattutto nel nostro Paese. Questo aggravamento in età pediatrica è collegato al fatto che i genitori non riescono a percepire in modo corretto il peso dei propri figli.

Il ruolo delle emozioni

I bambini sono abituati a vivere le proprie emozioni attraverso il corpo: utilizzano il cibo come mezzo compensatorio o attribuendogli significati altri, rispetto alla pura nutrizione. Quando sono nervosi o arrabbiati, tendono a mangiare di più; quando si sentono soli, utilizzano il cibo come piacere orale per non percepire quelle emozioni che li mettono in difficoltà.

La paura di essere giudicati

Quando il corpo dei figli viene osservato dagli altri, i genitori possono sentirsi giudicati, sul modo in cui li vestono, sugli stili di comportamento o sulle abitudini alimentari della famiglia. cambiare lo stile alimentare del proprio figlio non è compito facile; richiede un’attenzione e una vicinanza emotiva particolare. Modificare le abitudini comporta delle limitazioni e dei sacrifici, anche per il resto della famiglia. Gli esperti consigliano di non tenere in casa quei cibi che debbano essere eliminati dall’alimentazione dei piccoli; questo, per non provocare in loro frustrazione e nervosismo. Questa attenzione, da parte dei genitori, è importante: farà sentire i bambini riconosciuti nelle loro difficoltà e renderà questi limiti più tollerabili.
Si deve, però, far strada nei genitori il pensiero che ci possa essere un sottostante problema da non sottovalutare. Solo in questo modo, si potranno trovare le parole e i tempi giusti per poterne parlare con i bambini e per prendere le dovute misure. Avere chiaro che esiste un problema, comporta un’attivazione di risoluzione e una messa in discussione di stili educativi non semplici da disinnescare.

A che cosa servono gli specialisti?

Gli specialisti sostengono i genitori e offrono loro dei dati di realtà che non possono essere ignorati per la salute dei piccoli. È importante che i bambini sentano, da uno specialista, che le abitudini devono cambiare per una questione di salute; non devono essere i genitori ad impersonare i “cattivi” che mettono restrizioni e divieti. E’ fondamentale affidarsi a professionisti che suggeriscono modalità per poter intraprendere un percorso di dieta e per un successivo mantenimento. La dieta comporta sentimenti di rabbia e di frustrazione.

Psicoterapia

Il riempirsi in maniera esagerata non corrisponde a bisogni fisiologici del corpo, ma serve a colmare dei bisogni emotivi, che vanno compresi ed indagati dagli specialisti, insieme alle dinamiche relazionali del nucleo familiare. Diventa fondamentale attivare, in parallelo al percorso nutrizionale, un percorso psicologico in cui gli aspetti emotivi possano essere affrontati ed ascoltati, per la buona riuscita del percorso.

Di Alessia Marcassa, Psicologa, Centro CPF – FIDA Torino.