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L’ossessione per i muscoli, l’epidemia che colpisce gli uomini

L’incidenza dei disturbi alimentari tra gli uomini è aumentata da uno su dieci a uno su quattro. E spesso si tratta di un problema identitario, molto diffuso tra gli omosessuali

Muscoli, proteine, anabolizzanti. I disturbi alimentari non sono più solo una questione da donne. Fino a vent’anni fa, una persona ogni dieci tra chi soffriva di problemi legati all’alimentazione era di sesso maschile. Oggi l’incidenza è aumentata a uno su quattro. E per alcune patologie, come il disturbo da abbuffate compulsive, si sale addirittura a tre su quattro.

«Gli uomini, al pari delle donne, non sono più immuni dalle patologie legate all’alimentazione», spiega Laura Ciccolini, presidente della Fida, Federazione italiana disturbi alimentari. Da quelle “classiche”, come anoressia e bulimia. Fino a patologie “nuove”, come ortoressia e bigoressia, più specifiche del genere maschile, nate nella cultura del benessere a tutti i costi, delle palestre e dello sport eccessivo.

L’ortoressia è l’ossessione del mangiare sano. La bigoressia, invece, viene definita come l’ossessione per i muscoli: chi ne è affetto trascorre ore e ore in palestra, fa sport in modo compulsivo, si guarda di continuo allo specchio per monitorare lo stato della muscolatura. Tutto ruota attorno ai muscoli, dal tempo libero all’alimentazione. «Spesso si rinuncia alle cene fuori con gli amici per evitare alcuni cibi», racconta Ciccolini. E in molti casi per nutrirli, quei muscoli, si assumono beveroni iperproteici, o peggio, anabolizzanti, in modo da aumentare la massa magra e ridurre al minimo quella grassa.

Per identificare l’uomo attento all’estetica, è stato anche coniato un nuovo termine:metrosexual. Un incrocio linguistico tra “metro” ed “eterosessuale”, che viene utilizzato per indicare una nuova generazione di uomini, tendenzialmente di città, consumatori di cosmetica e molto curati nell’aspetto. Come per le donne, anche per gli uomini, il corpo diventa teatro di rappresentazioni e di conflitti. Dall’adolescenza all’età adulta.

La bigoressia è l’ossessione per i muscoli: chi ne è affetto trascorre ore e ore in palestra, fa sport in modo compulsivo, si guarda di continuo allo specchio per monitorare lo stato della muscolatura

«Finora i disturbi alimentari sono stati considerati con una connotazione prevalentemente femminile», spiega Ciccolini. «Questo ha portato gli uomini ad avere difficoltà a chiedere aiuto agli specialisti». Basti pensare che fino a due anni fa, il Dsm (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), la Bibbia dei disturbi psicologici, tra i criteri per descrivere l’anoressia indicava “l’assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi”. Nella decima classificazione internazionale delle malattie (Icd 10), stilata dall’Organizzazione mondiale della sanità, si distingueva invece tra anoressia maschile e femminile, puntualizzando come nell’uomo si manifesti anche con la “perdita di interesse e della potenza sessuale”.

Per il resto, i segnali dell’anoressia sono uguali negli uomini e nelle donne: perdita eccessiva di peso e controllo ossessivo del cibo. Con l’unica differenza che le donne anoressiche di solito sono molto magre e ossute. Mentre gli uomini, spesso, sono più muscolosi. Ecco perché la bigoressia maschile viene spesso definita come “anoressia inversa”, accompagnata da un’attenzione eccessiva per il corpo e non tanto per il peso in sé.

Come spiegano Laura Dalla Ragione e Marta Scoppetta nel libro Giganti d’argilla, se l’identità dell’uomo in passato si costruiva attraverso il lavoro, in un momento di crisi si punta tutto sul corpo. La costruzione di un corpo perfetto può diventare un obiettivo che distrae dal resto. Con una serie di tappe fisse: prima l’ingrossamento dei muscoli, poi la definizione; prima i carboidrati, poi solo le proteine, senza dimenticare l’aiutino integratori e altre sostanze.

La costruzione di un corpo perfetto può diventare un obiettivo che distrae dal resto. Con una serie di tappe fisse: prima l’ingrossamento die muscoli, poi la definizione; prima i carboidrati, poi solo le proteine

«Rispetto alle donne, negli uomini che soffrono di disturbi alimentari si registrano problemi più profondi legati alla costruzione dell’identità, con una forte prevalenza didisturbi psichiatrici», spiega Laura Ciccolini. «Sono persone che fanno fatica a costruirsi un’identità autonoma e separata da quella della madre, restando in bilico in una sorta di area di nessuno». Così, come le donne, anche gli uomini finiscono per identificarsi con il disturbo in sé. «Essere anoressico o bulimico diventa una forma di identità che va a colmare un vuoto», dice Ciccolini. Tant’è che i disturbi alimentari tra gli omosessuali sono presenti quattro volte di più. «Questo vale soprattutto nei casi di omosessualità latente», dice la presidente di Fida, «quando essere gay viene vissuto come una vergogna e si fatica a riconoscersi in una identità sessuale precisa».

E spesso alle spalle di un uomo anoressico o bulimico ci sono storie di obesità infantile, più ricorrente tra i bambini maschi. «Sono storie che possono generare insicurezze profonde, derivanti da scherzi e prese in giro da parte dei coetanei», dice Ciccolini. «In molti casi, ci sono frasi particolari che li hanno colpiti particolarmente. Il controllo del peso e del cibo da adulti diventa quindi una forma di rivalsa».

In Giganti d’argilla, si trova la storia di Mario, 14 anni, da sempre un po’ cicciottello e poco amante dello sport. Dopo una dieta iniziata poco prima dell’estate, comincia a praticare sport. Prima qualche volta a settimana, poi ogni giorno. A un certo punto esce solo per andare in palestra. A tavola mangia pochissimo. E in camera continua a fare flessioni e addominali per paura di ingrassare. Gli insulti dei compagni di classe, motivo iniziale della dieta, erano scomparsi, ma lui non era più riuscito a fermarsi. «Esattamente come accade in molte donne che si ammalano, l’anoressia ha costituito per Mario un mezzo per trovare la propria identità», scrivono Dalla Ragione e Scoppetta.

La magrezza si trasforma in un valore. I muscoli sono ostentati con fierezza. «Questi ragazzi sono orgogliosi del lavoro che hanno fatto sui loro corpi, perché denotano una capacità forte di controllo sulla fame e sugli sforzi fisici in palestra. E per questo sono pazienti poco trattabili», dice Laura Ciccolini. «Così come per le anoressiche che, anche se sono in fin di vita, non chiedono aiuto, lo stesso accade per gli uomini». Sono le persone intorno che notano alcuni comportamenti ossessivi e si rivolgono ai medici. «Se fosse per loro, continuerebbero a pomparsi in palestra come se nulla fosse».

 

 

per la lettura dell’articolo originale vi rimandiamo al seguente link:

http://www.linkiesta.it/it/article/2016/03/16/lossessione-per-i-muscoli-lepidemia-che-colpisce-gli-uomini/29639/

BULIMIA: UN DOLORE CHE NON SI VEDE

L’anoressia, come l’obesità, si inscrive nel registro dell’evidenza, in quanto sono patologie che mettono in mostra corpi sofferenti.

Diversamente accade nella bulimia, dove il dolore non si vede.

Spesso le persone bulimiche mostrano un corpo curato e ben vestito, appaiono come persone iper efficienti, socialmente inserite e che ottengono buoni risultati sia scolastici che lavorativi, senza far trasparire alcun segno di sofferenza, ma vivendo con disperazione la difficoltà nel non riuscire a prendere contatto con le proprie emozioni.

Sono ragazze che fin da piccole hanno avuto la tendenza a sintonizzarsi sulle richieste esterne, ad essere sempre adeguate alle aspettative genitoriali e in adolescenza non riescono a comprendere i propri bisogni, arrivando spesso a negarli.

Se l’immagine all’esterno è di adeguatezza, la loro sofferenza si esprime, invece, in un rituale segreto di abbuffate solitarie e di condotte compensatorie fatte all’insaputa di tutti.

La difficoltà a comprendere il proprio mondo interiore fa sentire un vuoto che viene percepito nel corpo e il cibo sembra essere l’unico modo per colmarlo

I sentimenti negativi, come rabbia ed aggressività, vengono respinti e negati, non possono essere espressi né sentiti, poichè andrebbero ad incrinare l’immagine che la ragazza si è costruita.

Le persone che soffrono di bulimia vivono un dramma solitario, straziante, pieno di sensi di fallimento, di rabbia, di svalutazione, chiuse in un circuito ripetitivo sempre uguale di vuoto, pieno, vuoto.

Spesso riportano di non sentirsi autentiche, come un bluff, che non può essere rivelato e che rende loro impossibile chiedere aiuto.

Anoressia, il ruolo di Instagram nella cura dei disturbi alimentari. La terapia delle #edwarriors e dei diari

 |  Di Chiara Piotto

“La gente non ha vie di mezzo, proprio come la malattia. O ti sostiene al massimo, o ti affonda”. Le parole di Francesca, una delle tante ragazze anoressiche che combattono la propria battaglia online, non potrebbero essere più vere. Instagram è una piattaforma dove gambe ossute, pranzi mancati e modelli irrealistici si mescolano in una giungla schizofrenica. Non c’è priorità – né compassione – che dia un ordine alle immagini condivise. Per una ragazza che soffre di disturbi alimentari è come giocare a campo fiorito. Se clicchi bene sopravvivi, se scegli male salti in aria.

I social sono stati messi alla gogna perché propongono modelli non reali. Ma la condivisione ha anche permesso a chi soffre di disturbi alimentari di trovare un punto di incontro con chi vive le stesse difficoltà. Come i forum, Instagram ha creato una comunità di sostegno. La parola d’ordine è “recovery”, guarigione. Scegliere da che parte stare è prima di tutto una questione di hashtag. #ana(abbreviazione di anoressia), #donteat, #anorexianervosa da un lato, con le loro regole e i comandamenti. #EdWarriors e #EdSoldiers dall’altro. Questi ultimi due sono i codici che permettono di dialogare alle persone che combattono contro un disturbo alimentare.

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Quando si cercano parole sensibili come #anorexianervosa Instagram avverte e invita a cercare supporto.

E’ il nome che li unisce: “Eating Disorders Warriors”, i guerrieri, i soldati. Il campo di battaglia in cui si muovono è tragico ed epico. La maggior parte dei profili sono legati alla parola “Recovery”, riportano nella descrizione il numero di kg persi o riacquistati, frasi motivazionali come “Le calorie esistono soltanto se ti metti a contarle”. Ci sono contest come il #FearFoodChallenge di incoraggiamento di gruppo.Si trovano più che altro diari alimentari, account dedicati interamente alla meticolosa annotazione – tramite fotografie – di ogni pasto consumato. Alcuni medici pensano che sia un’abitudine dannosa, che porta a frequentare altre persone malate e a sviluppare un rapporto più malato con il cibo. Non tutti sono d’accordo. “Anche prima dei social, era una tecnica comune e basilare nel trattamento di queste patologie”, dice ad HuffPost Romeo Lippi, psicologo e psicoterapeuta, fondatore del sito Lo psicologo di internet, “Permette il monitoraggio della dieta e il cambiamento della stessa. Instagram non fa altro che rendere questa cosa pubblica, dando alle persone il supporto dei like e dei commenti di amici e follower che le seguono. Diventa quasi una terapia di gruppo. Si creano vere e proprie relazioni, online ma anche reali. Ovviamente nel caso dei più giovani sarebbe meglio se tutto venisse controllato da un adulto“.

Tra le ragazze in via di guarigione ce ne sono tante che trovano sollievo nel condividere i propri pasti. È il caso di Livia, alias @LiviaLives_recovering, studentessa di giurisprudenza. “La mia storia è iniziata nel 2009, pesavo circa 67 kg ed ero quasi sovrappeso”, ha raccontato in un post. “Non mi piaceva il mio aspetto, mi sentivo enorme rispetto alle mie amiche. A otto anni ho scritto nel mio diario: “Voglio diventare anoressica così posso fare la ballerina”. Nella mia testa anoressica significava semplicemente magra“. Le fasi iniziali della malattia sono per molte persone difficili da raccontare. Ma scriverlo sui social, sapendo che lo leggeranno molti sconosciuti, può essere allo stesso tempo liberatorio. Alcune, ad esempio, scelgono di aprirsi ma scrivono nella propria descrizione “Se mi conosci, sssshhhhh!”.

Anche se campana, Livia scrive spesso in inglese. Anglofoni sono infatti la maggior parte degli account #recovery, per quanto secondo lei la community italiana sia in crescita. “Le ragazze italiane sono ancora un po’ restie a condividere la propria storia su Instagram, dipende molto da quanto la comunità intorno a te lo fa”, dice lo psicologo Romeo Lippi. “Mi dicono che vedono le altre su Instagram, sempre magre, contente, con il fidanzato… In questo ha un ruolo centrale la famiglia, che spesso ignora i social e quello che vi succede mentre sarebbe importante un dialogo“. La maggior parte delle vittime di disturbi alimentari sottolineano infatti quanto sia difficile parlarne con i genitori o rivolgersi a degli specialisti.

Livia è stata ricoverata diverse volte ed è arrivata a pesare 36 chili. La sua vita si è accartocciata intorno alla necessità di nascondere i pasti, di trovare una buona scusa per saltarli. Una vita che ha tentato di levarsi e che ora sta lottando per riprendersi. È al suo terzo account Instagram, i primi due li ha cancellati perché erano molto negativi. “Ho deciso di aprirne uno nuovo all’insaputa del mio medico perché sapevo dell esistenza di questi profili #recovery e, per quanto sconsigliato dagli psicologi, mi aiuta approcciarmi al cibo cercando di renderlo più artistico… fotogenico o di ispirazione”, racconta ad HuffPost. “Prendo spunto dagli altri profili e sono selettiva: può sembrare egoista ma non seguo chi sta troppo male perché sono ancora troppo sensibile. Seguo chi può ispirarmi, chi fa buone foto, chi non mi destabilizza”. Scorrendo l’elenco dei suoi follower si trovano soprattutto ragazze come lei, con la parola “recovery” nel nome, tante foto di piatti pieni in gallery. “Tante persone mi dicono che le ho aiutate e questo mi spinge a non mollare. Altre sono riuscite a guarire e sono per me fonte di ispirazione. Mi tengo lontana dai profili “pro ana” che inneggiano alla malattia per non farmi condizionare”.C’è bisogno di rendere le strutture di terapia e ascolto più accessibili e visibili.

Per questo il centro Fida per la cura dei Dca (Disturbi del comportamento alimentare) di Torino ha fatto una cosa importante. Ha aperto un account Instagram,@fida_torino, dove mette in chiaro il proprio ruolo e i propri contatti con un approccio social capace di raggiungere i malati più giovani. Un tentativo motivato dal fatto che, se l’anoressia nervosa si è stabilizzata sullo 0,9% della popolazione, i dati sulla bulimia nervosa e sul disturbo dell’alimentazione incontrollata sono in aumento.In totale, sono circa 3 milioni le persone che il ministero della Salute stima soffrano di disturbi alimentari in Italia. “L’idea di aprire un account è nata perché abbiamo sempre cercato di raggiungere più ragazze e ragazzi possibili tra quelli che ne hanno bisogno”, dice ad HuffPost Laura Ciccolini, psicologa psicoterapeuta presidente del centro Fida, “Su Instagram c’è un grande movimento di persone con problemi alimentari e volevamo interagire con loro condividendo messaggi e notizie sulla cura. Ma non le contattiamo direttamente, per non interferire in maniera invasiva”.Di supporto c’è bisogno, anche perché la comunità online non sempre premia gli sforzi delle ragazze che stanno cercando di guarire: “Quando ho aperto il profilo le persone hanno cominciato a giudicarmi perché da sola non ce la facevo, non ero una brava ragazza in “recovery”. Mi hanno scritto cose orribili. Molte persone si sono affezionate a me, ma altre mi hanno davvero fatto stare solo peggio”, ci racconta Francesca. Anche lei combatte l’anoressia. Ha 20 anni, è seguita da una nutrizionista, ha fatto sua la frase “L’anima pesa solo ventuno grammi, voler sollevare troppo può causare danni”. Ha abbandonato il suo account perché “non si sentiva più motivata” e ha preferito concentrarsi sulle sue passioni, il disegno e la fotografia: “Ho capito che fotografare il cibo non è normale. Forse un giorno riprenderò in mano quel profilo per dare mie notizie e sapere come stanno le ragazze, ma non voglio più vivere in un mondo virtuale. Perché la realtà è tutta diversa, si guarisce sfruttando le proprie passioni e ricostruendosi una personalità, non sparpagliandosi nell’universo di internet. Bisogna rientrare in contatto con il mondo, non isolarsi ulteriormente in un universo che è solo virtuale. Anche se mi hanno dato tanto, io la penso così”.

 

CELIACHIA: “non solo una questione di dieta”

La celiachia è una malattia cronica dell’intestino tenue, determinata dall’assunzione di glutine in individui geneticamente predisposti. L’unica terapia idonea è una dieta rigorosamente senza glutine, che non comporta effetti collaterali, ma deve essere seguita per tutta la vita. La cronicità è l’aspetto che più spaventa questi pazienti, che necessitano di direttive specifiche dal punto di vista medico-nutrizionale, ma soprattutto desiderano essere ascoltati rispetto alle loro paure e ai loro dubbi.

Le difficoltà ad accettare la malattia vengono amplificate dalla costrizione ad una dieta rigidamente controllata, che influenza sia la vita personale, sia quella sociale.

I celiaci devono fare i conti non solo con il malfunzionamento fisico e la percezione del proprio malessere, ma anche con l’etichetta che il mondo esterno attribuisce al loro stato di malattia. Per questo motivo è importante ascoltare e capire quanto sia reale e pressante questa condizione per chi la vive, senza banalizzarla, e aiutare queste persone ad avere gli strumenti per riappropriarsi della loro identità e delle loro abitudini relazionali. Noi, infatti, ci identifichiamo con il cibo che culturalmente ci hanno insegnato a mangiare; quindi una dieta senza glutine può modificare la concezione che abbiamo di noi stessi e che gli altri hanno nei nostri confronti. L’essere celiaci, quindi, può andare a incrinare i rapporti relazionali con amici e parenti, che possono diventare molto apprensivi oppure, in casi estremi, evitare di invitare il celiaco a cena, per non dover cambiare le proprie abitudini.

La diagnosi di celiachia, che sia precoce o meno, comporta sempre un primo periodo di smarrimento, ma, a seconda dell’età, è caratterizzata da aspetti psicorelazionali differenti.

Nei celiaci adulti diagnosticati nella prima infanzia, solitamente troviamo una maggiore compliance, ovvero una maggior predisposizione alla collaborazione terapeutica, data da una dieta più facilmente integrabile in un regime alimentare non ancora consolidato.

Ai bambini diagnosticati in età scolare e agli adolescenti è richiesto uno sforzo maggiore di adattamento, sia per i cambiamenti alimentari, sia per i cambiamenti richiesti sul piano cognitivo.

La diagnosi porta squilibri anche nel contesto intrafamiliare, creando tensioni e confusione nella coppia genitoriale e nel rapporto genitori-figli. Spesso, infatti, i figli non celiaci recriminano ai genitori delle preferenze e delle attenzioni maggiori per il fratello celiaco, e per questo gli adulti si trovano in difficoltà perché non sanno cosa cucinare e come comportarsi per non fare discriminazioni.

La presa in carico psicologica è necessaria quando la celiachia fa emergere anche altre difficoltà psicologiche e relazionali. Può succedere che si faccia fatica a gestire le emozioni legate alla malattia (rabbia, frustrazione, senso di colpa) o che si provi disagio nel comunicare la propria situazione nei contesti di vita. Le difficoltà di integrazione sul piano sociale, oltre alla sensazione di isolamento, spesso possono creare sintomi depressivi e disturbi d’ansia.

Lo specialista deve dare un supporto psicologico, lavorando sul valore simbolico dato al cibo, rilanciando in modo positivo la scoperta di nuovi sapori, facendo attenzione ai vissui dei pazienti e alla presenza di possibili disturbi alimentari celati dalla rigorosità della dieta senza glutine.

In alcuni casi, infatti, possono presentarsi sintomi inerenti al disturbo del comportamento alimentare, accompagnati da pensieri e comportamenti associati al mangiare e all’immagine corporea, che diventano predominanti nella vita del celiaco.

Il disturbo alimentare può nascere anche dalla dieta stessa, che oltre a portare il celiaco a riassorbire quegli elementi che prima non assorbiva, facendo prendere peso e modificando la fisionomia del corpo, contribuisce a focalizzarsi su una rigidità alimentare, che tende a far diventare la persona ipercontrollante.

Il cibo è uno strumento per comunicare ed è fondamentale accogliere la sofferenza del paziente, per aiutarlo ad aprirsi a nuove prospettive, mostrando il cambiamento come possibilità e non più come limite.

Amenorrea, Osteoporosi e Disturbi del Comportamento alimentare

L’anoressia e i disturbi del comportamento alimentare sono l’espressione di un disagio psicologico che comporta anche gravi rischi per la salute. Infatti, nelle donne, uno dei primi sintomi è rappresentato dall’amenorrea, cioè l’interruzione del regolare ciclo mestruale che può manifestarsi prima ancora che il dimagrimento sia visibilmente preoccupante; in questo caso, l’arresto del ciclo rappresenta anche una forma di difesa dell’organismo che cerca di risparmiare al massimo le sue energie.

Il ginecologo, pertanto, potrebbe essere il primo a sospettare la presenza di tale malattia, soprattutto nello stadio iniziale, che riserverebbe più possibilità di cura. Per questo motivo, è importante che indaghi meglio le cause dell’interruzione del ciclo mestruale, non solo allo scopo di far ritornare le mestruazioni, ma per accertarsi che non sia sintomo di un disturbo più grave. Spesso, anche quando apparentemente sembra che l’anoressia sia superata, continua a persistere uno stato di amenorrea. Questo perché la risoluzione dei problemi metabolici e psicologici causati dall’anoressia avviene molto più lentamente rispetto al recupero di peso e, solo in un secondo momento, l’organismo riprende spontaneamente le mestruazioni come segnale di un raggiunto benessere.

L’interruzione del ciclo mestruale porta con sé patologie dannose anche a livello osseo, che hanno più probabilità di diventare permanenti; ne è un esempio l’osteoporosi, che si presenta come una patologia sistemica che indebolisce la struttura ossea, portando, nel lungo termine, un aumento del rischio di fratture. Anche se questa malattia è solitamente correlata all’avanzare dell’età, è stato dimostrato che particolari condizioni fisiche comportino un rischio di svilupparla in modo precoce. Infatti, la fascia di età che l’anoressia va a interessare è la stessa in cui le ossa si sviluppano maggiormente e, proprio in questo caso, la mancanza di una dieta adeguata, provoca una riduzione o l’interruzione della produzione di cellule, che promuovono la formazione dell’apparato osseo da parte del midollo.

E’ importante considerare i disturbi del comportamento alimentare come patologie complesse che coinvolgono vari versanti: corporeo, psicologico, relazionale e familiare, i quali necessitano di essere valutati e trattati, tenendo conto dell’importanza di una presa in carico completa della persona, che non dimentichi gli aspetti biologici che accompagnano le componenti psicologiche del disturbo alimentare.

Comportamenti adolescenziali a rischio e DCA

Che cosa accomuna un’adolescente che si riduce ostinatamente al digiuno e un giovane che rischia la vita abusando di sostanze psicoattive come alcool o droghe?
Tutte queste condotte, apparentemente molto diverse tra loro, sono definite 
comportamenti adolescenziali a rischio, in quanto hanno la caratteristica comune di poter compromettere nell’immediato o a lungo termine il benessere fisico, psicologico e sociale dell’individuo. Aldilà della specifica forma con cui si esprimono, questi comportamenti rimandano a problematiche comuni dell’adolescenza:  un disagio che a volte nasce o non trova spazio di espressione nell’ambiente familiare e che attraverso il corpo o il gruppo dei pari, traduce il malcontento, l’inadeguatezza e il malessere. Tali comportamenti disfunzionali non devono essere intesi come azioni prive di senso o come la conseguenza di cieca imitazione dei pari , ma rappresentano delle modalità dotate di senso utilizzate da numerosi adolescenti in particolari momenti della loro vita e in specifici contesti , perciò in quanto tale, non devono essere sottovalutati. La società moderna, caratterizzata da mutevoli complessità, da forti accelerazioni tecnologiche e trasformazioni socioculturali, ha un impatto notevole sugli individui. Risulta innegabile che gli adolescenti e i bambini non ricevono più le attenzioni e le cure di un tempo: una visione adultocentrica, la progressiva nuclearizzazione della famiglia e i ritmi lavorativi sempre più frenetici comportano una sostanziale caduta di interesse nei confronti dei bisogni dei figli. Questi ultimi perciò, si trovano nella situazione di cercare modalità nuove per soddisfare le proprie esigenze emotive, affettive, di contenimento, di esplorazione e differenziazione; spesso riescono a colmare tali bisogni in modo positivo, altre volte invece, sfogano le loro sofferenze con le droghe, l’alcool, il cibo o internet, sconfinando nell’abuso, nella devianza e nei casi più gravi nella patologia. Il corpo diventa il palcoscenico dove l’individuo esprime tutta la sua angoscia, la sofferenza e la solitudine che sente intorno a sé e che prova giorno dopo giorno. Il sintomo che occupa la vita dell’adolescente equivale ad una prigione in cui nascondere la paura del rapporto con gli altri e un disperato bisogno d’amore. La sofferenza dell’adolescente può assumere forme e direzioni diverse, a seconda delle caratteristiche della sua personalità e dalla possibilità di fruire di un supporto adeguato da parte del proprio ambiente di appartenenza. I dati epidemiologici, a conferma dei dati sociologici, offrono altrettante interessanti osservazioni: mentre in passato le dipendenze riguardavano fasce di popolazione più o meno definite a rischio e l’oggetto delle dipendenze riguardava principalmente le sostanze stupefacenti e l’alcool, ad oggi, il fenomeno delle dipendenze si sta sviluppando in modo trasversale colpendo ogni classe di età ed ogni categoria sociale e inoltre è associato ad altre patologie come i disturbi alimentari. Alcune ricerche sui Disturbi del Comportamento Alimentare, hanno dimostrato che vi sono numerosi elementi in comune tra questi disturbi e le dipendenze, come quelle dall’alcool e dalla droga. Il cervello umano possiede dei centri specializzati che sono normalmente attivi quando una persona si sente bene, si prende cura del proprio corpo, si comporta in maniera prudente; tali centri si attivano anche in situazioni di disturbo alimentare o uso di droghe. L’abuso di droghe in soggetti con disturbi alimentari è stato oggetto in passato di scarsa attenzione da parte degli studiosi”, affermano gli autori di una ricerca che ha affrontato questo problema, pubblicata recentemente sull’International Journal of Eating Disorders, i quali hanno condotto uno studio longitudinale prospettico, al fine di valutare la frequenza del ricorso a sostanze stupefacenti in persone affette da anoressia nervosa e bulimia. Ciò sottolinea la significativa relazione tra disturbi alimentari, patologie dell’umore e abuso di sostanze stupefacenti e alcol. In particolare viene sottolineato che nell’anoressia di tipo binge eating/purging, più che nell’anoressia restrittiva, è frequente il riscontro di altre condizioni di minor controllo degli impulsi quali appunto l’abuso di alcol o di stimolanti; lo stesso accade per i soggetti affetti da bulimia nervosa che, in un terzo circa dei casi, presenta abuso o dipendenza da alcol o stimolanti. Questi ultimi sarebbero utilizzati per il controllo dell’appetito e del peso. Ecco allora che il digiuno o l’abbuffata collegata all’abuso di alcool e droghe può rappresentare il tentativo estremo di dare forza e autonomia ad un’identità fragile e precaria, attraverso il controllo estremo dell’immagine corporea e di rispondere al bisogno di negare conflitti irrisolti presenti nella loro vita, nel rapporto con gli altri, nella loro mente. L’assunzione di un comportamento non è il semplice risultato di un ragionamento cognitivo, ma comprende molti aspetti emotivi, affettivi e sociali che incorrono a motivare l’azione.  Il disturbo alimentare o il comportamento disfunzionale in generale, è solo l’ultimo segnale di un disagio più profondo che affonda le sue radici in anni ben più remoti dello sviluppo della personalità. Inoltre, la sola conoscenza degli effetti negativi di un comportamento non è sufficiente per indurre le persone ad abbandonarlo o evitarlo. Le droghe, il cibo, il sesso, il gioco d’azzardo, la dipendenza da internet o dai telefonini hanno come scopo principale il cambiamento della percezione di sé e dell’ambiente circostante, modificano lo stato di coscienza, trasformano il disagio e modulano la sofferenza.  I disturbi del comportamento alimentare, nei loro diversi quadri (anoressia, bulimia, binge eating, obesità) sono un fenomeno in continua espansione: anoressia e bulimia sono diffusi prevalentemente tra gli adolescenti e i giovani (soprattutto, ma non solo, donne), ma anche binge eating e obesità cominciano ad emergere in età più precoci. Sono problematiche che provocano grande sofferenza, sia fisica che psichica e possono compromettere la vita sociale, familiare, lavorativa delle persone che ne sono colpite: se non si interviene, i sintomi tendono progressivamente a divenire cronici e nei casi più gravi possono essere letali. Eppure spesso rimangono avvolti da una coltre di vergogna e sepolti nelle famiglie. Perciò risulta fondamentale innanzitutto, prendere coscienza della gravità di tali problematiche e comprendere che una presa in carico di tipo multidisciplinare, con il conseguente coinvolgimento di diverse professionalità che lavorano insieme nel team clinico può essere l’approccio più idoneo per affrontare tali patologie.

LA NOMOFOBIA

Una sensazione di panico vi assale non appena vi accorgete di aver dimenticato lo smartphone a casa? Non riuscite a resistere più di dieci minuti senza controllare le notifiche e pensate che stia squillando anche quando non è così? Se avete risposto si ad almeno una delle due domande, allora potreste aver sviluppato una vera dipendenza dal vostro smartphone.
Negli ultimi anni, molti ricercatori si sono interessati allo studio della relazione tra gli individui, i cellulari e gli altri strumenti di connessione come Tablet e Pc che ormai fanno parte della nostra quotidianità. Anche se la tecnologia ci consente di sbrigare il nostro lavoro più velocemente e con efficienza, di tenerci informati in tempo reale su quello che accade ovunque e di poter contattare qualunque persona in qualunque momento, non bisogna dimenticare che i dispositivi mobili possono avere un effetto pericoloso sulla salute, specialmente se utilizzati in modo persistente e inappropriato.
In un
intervista è stato chiesto ad un gruppo di persone, di diverse età, se riuscirebbero a stare senza il loro smartphone e la risposta è stata quasi del tutto unanime che senza lo smartphone non riuscirebbero a vivere e che avrebbero panico soltanto a pensarci. Per descrivere questo fenomeno è stato coniato un nome, Nomofobia  o Sindrome da Disconnessione.

La nomofobia sarebbe caratterizzata da “ansia, disagio, nervosismo e angoscia causati dall’ essere fuori dal contatto con un telefono cellulare o un computer”. Molti studiosi ipotizzano che, in una società dove tutto è ormai frenetico e quasi “impersonale”, lo smartphone verrebbe utilizzato come un guscio protettivo o uno scudo e come mezzo per evitare la comunicazione sociale.

Nella persona con nomofobia s’instaura la sensazione di perdersi qualche cosa se non si controlla costantemente il cellulare e il rischio è che si inneschi un meccanismo di dipendenza,mettendo in atto una vasta gamma di comportamenti disfunzionali come: stare più tempo al telefono, aspettare la risposta dell’altro (magari sollecitandolo), vedere che cosa accade agli amici nei diversi social network, commentare e condividere costantemente, non spegnere mai il dispositivo neanche nelle ore notturne, svegliarsi di notte e controllare vari post o nuovi messaggi, portarsi lo smartphone in luoghi non appropriati come chiese o toilette.

CHI E’ PIU’ A RISCHIO?

Gli adolescenti appaiono i soggetti prevalentemente più a rischio di sviluppare questa nuova forma di dipendenza patologica.
Il rischio legato all’utilizzo degli smartphone in età precoce non è soltanto quello di poterne abusare e quindi essere soggetti ad una possibile dipendenza , ma anche quello di utilizzare il cellulare in modo
talmente inadeguato e incoerente con l’età del bambino/adolescente da poter sviluppare la nomofobia. Il pericolo non è tanto per l’utilizzo precoce di questi dispositivi, i quali possono essere anche utilizzati come un mezzo per sviluppare le capacità cognitive del bambino, quanto piuttosto il prolungato utilizzo di smartphone e tablet che potrebbe portare ad un affaticamento eccessivo della vista e al rischio che il piccolo si isoli psicologicamente creandosi un mondo parallelo popolato solo da personaggi non reali, perdendo così il contatto e l’interesse verso le cose che lo circondano. Effetti di questo continuo utilizzo di internet e smartphone possono sfociare in ulteriori problematiche; è questo il caso del sexting, fenomeno già affrontato in un altro articolo precedentemente pubblicato. In conclusione possiamo dunque affermare che il telefono cellulare e gli atri mezzi di comunicazione, se usati in modo appropriato e intelligente, possono assolvere a importanti funzioni psicologiche come: regolare la distanza nella comunicazione e nelle relazioni, gestire la solitudine e l’isolamento e permettere di rivivere momenti importanti della propria vita con uno o più scatti.
Ma
bisogna anche ricordare che il rapporto con il cellulare è potenzialmente dannoso , ed è per questo che la prevenzione risulta fondamentale specialmente in alcune fasce d’età.
Pertanto, è importante autoistruirsi
ed istruire ad un rapporto equilibrato con il telefonino, concedendosi e concedendo ogni tanto una qualche pausa dalla sua presenza confortante e rassicurante, ricordandosi che forse una vita realmente vissuta è più gratificante di una vita solo immaginata.

Le emozioni dei genitori rispetto alle patologie alimentari

Il contesto familiare ha un certa influenza sui sintomi alimentari del paziente; infatti la patologia scatena dinamiche conflittuali caratterizzate da forte angoscia ed impotenza. L’atteggiamento dei genitori rispetto a questo disturbo potrebbe essere una preziosa risorsa nel percorso terapeutico oppure, talvolta, potrebbe rivelarsi uno dei fattori di mantenimento del disturbo.
Nelle patologie alimentari, le madri tendono a reagire provando un grande dolore e una forte angoscia, che a volte le può portare ad assumere atteggiamenti controproducenti per l’evolversi del sintomo. Le madri hanno difficoltà ad accettare l’atteggiamento di rifiuto e chiusura da parte della figlia: improvvisamente non riescono più a sapere cosa prova e cosa pensa, gli scambi affettivi che c’erano in precedenza vengono meno e questo le fa sentire ferite e rifiutate, pensando di aver perso l’amore della figlia. Queste donne talvolta si colpevolizzano, non capiscono dove abbiano sbagliato e cercano la causa che possa aver scatenato tutto ciò. Accanto al dolore, provano odio e impotenza verso la malattia e molta rabbia verso l’autodistruttività che le loro figlie mettono in atto.
Per i padri, invece, i tempi di accettazione della patologia sono abbastanza lunghi, a volte non riescono nemmeno a nominarla e ne parlano in termini generici. Cercano di trovare delle spiegazioni razionali e, soprattutto nelle fasi iniziali del disturbo, sono portati a pensare che basterebbe modificare le abitudini alimentari per risolvere il problema e guarire. Lo stato emotivo che li caratterizza, spesso, è la collera, poichè sentono di non essere riusciti a controllare tutto e a rendere felice la famiglia. A differenza delle madri, i padri risultano molto più concreti, cercano rimedi più logici e più razionali al disturbo, invece di interrogarsi sulle cause.
Per questi motivi, è importante che, nel percorso terapeutico del paziente, possa esserci uno spazio riservato ai genitori che li aiuti a comprendere e affrontare, nel modo migliore, le loro difficoltà
L’obiettivo della terapia familiare non è, come molti credono, la ricerca della cause della malattia o la colpevolizzazione di uno o più membri della famiglia. Al contrario, ha l’obiettivo di arrivare ad avere dei possibili “co-terapeuti” all’interno del nucleo familiare, in modo che tutti i membri possano contribuire al successo del trattamento.

DISTURBI ALIMENTARI : LE DOMANDE PIU’ FREQUENTI DELLA FAMIGLIA

Per una famiglia avere un figlio che soffre di un disturbo alimentare comporta numerose difficoltà. L’insorgenza di questi sintomi genera spesso confusione, spostando il focus di attenzione esclusivamente sul cibo, tralasciando gli aspetti affettivi e relazionali. I genitori si sentono impotenti, spesso invasi da sentimenti di colpa e solitudine; perciò comprendere la malattia è uno dei passi fondamentali per capire meglio gli aspetti patologici del proprio figlio e poterlo aiutare nel modo migliore. I disturbi alimentari non si manifestano allo stesso modo in tutti i soggetti e le modalità di affrontarli non sono le stesse in tutte le famiglie. I genitori si pongono molte domande, come ad esempio:

  • Dove ho sbagliato?

È importante sottolineare che colpevolizzare se stessi o gli altri non ha mai aiutato nessuno. Il senso di colpa non facilita la cura ma, al contrario, contribuisce a cronicizzare il disturbo.

  • Di chi è la colpa?

Non esiste un colpevole, le cause dei disturbi alimentari sono molteplici ed è importante che la famiglia sia unita per combattere la malattia, senza scontrarsi.

  • Cosa posso fare per aiutare mia figlia/mio figlio?

Sarebbe meglio evitare frasi come: ”sei tu che non ti impegni abbastanza” oppure “sono sicuro che ce la puoi fare, basta che ce la metti tutta”, poiché il disturbo alimentare è una malattia e non è una questione di volontà. Risulta importante mettere da parte i conflitti di coppia o familiari per agire in sintonia e cercare soluzioni per stare meglio.

  • E’ normale provare vergogna per la malattia del proprio figlio/a?

Come il senso di colpa, anche la vergogna è controproducente. Il suggerimento è quello di non vergognarsi né di se stessi né del proprio figlio e di non isolarsi ma di cercare aiuto negli altri.

  • A chi rivolgersi?

Essendo una patologia complessa,il disturbo alimentare necessita di un intervento multidisciplinare che comprende diverse figure professionali quali psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, nutrizionisti e dietisti così da offrire un aiuto a 360° non solo al paziente ma anche alla sua famiglia.

IL NOSTRO CENTRO

Il Centro CPF-FIDA si occupa ,attraverso il lavoro di numerose professionalità, di una presa in carico multidisciplinare integrata dei disturbi alimentari che sorgono nell’infanzia, nell’ adolescenza e nell’ età adulta.
L’obiettivo del nostro intervento è quello di dare voce alla sofferenza e individualità di ogni persona che viene espressa solo attraverso il comportamento sintomatico.
Per ulteriori informazioni visitate il nostro sito: http://www.fidadisturbialimentari.com/cpf/

Vigoressia: La bellezza non sempre è un vantaggio

CHE COS’E’ LA VIGORESSIA?

La Vigoressia è un disturbo caratterizzato dalla ricerca ossessiva della forma fisica perfetta e dall’incremento continuo della muscolatura. I soggetti che soffrono di questa patologia, però, tendono a sentirsi sempre insoddisfatti dei risultati ottentui, nonostante i continui allenamenti. Questo aspetto differisce dalla ricerca dell’eccessiva magrezza tipica del disturbo anoressico. Per questo motivo, Pope e colleghi hanno definito tale patologia “Reverse Anorexia”.

SINTOMI

Gli uomini sembrano manifestare con maggior frequenza i sintomi della Vigoressia. In particolare, cercano di raggiungere l’ideale del corpo maschile tonico e muscoloso imposto dai mass-media, dalle riviste e dai social network. Per questo motivo, integrano l’eccessiva attività fisica con una dieta iperproteica e, in alcuni casi, con l‘assunzione di steroidi anabolizzanti e integratori, con la possibilità di svilupparne una dipendenza.

CAUSE

Il comportamento anoressico e vigoressico mostrano numerose analogie a livello causale: bassa autostima, insoddisfazione del proprio corpo, senso di inadeguatezza, distorsione dell’immagine corporea, stati depressivi ed ansiosi, con conseguente ritiro sociale. Pochi sono a conoscenza delle conseguenze molto negative che questo stile di vita potrebbe causare. Per questo motivo, per le persone affette da Vigoressia è difficile formulare una richiesta di aiuto.

CONSEGUENZE

L’abitudine ad effettuare allenamenti estenuanti e continuativi può provocare: alterazione dei cicli di fame e sonno, disturbi dell’umore, patologie cardiache e renali, problemi ai muscoli e alle articolazioni. A livello sociale, i soggetti tendono ad isolarsi ed evitano le situazioni in cui il corpo potrebbe essere esposto; inoltre, hanno una costante tendenza a sacrificare le attività sociali e lavorative per dare priorità all’allenamento in palestra (senza mai trasgredire la dieta ferrea).

I ragazzi vigoressici tendono a mettersi alla prova da soli, a causa di una profonda mancanza di fiducia in se stessi. Questo atteggiamento li spinge a porsi degli obiettivi sempre più elevati, che hanno un effetto benefico di breve durata e che portano il soggetto ad allenamenti sempre più impegnativi.