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I Disturbi Psicosomatici

I Disturbi Psicosomatici sono delle vere e proprie malattie che producono danni a livello organico. Questi sono causati o aggravati da fattori emotivi.
In particolare, i sintomi psicosomatici si possono manifestare nell’apparato gastrointestinale (con gastrite e colite ulcerosa) e nell’apparato cardiocircolatorio (con tachicardia, aritmia, cardiopatia ischemica e ipertensione). Inoltre, possono coinvolgere l’apparato respiratorio (con asma bronchiale) e l’apparato urogenitale (con dolori mestruali, impotenza, eiaculazione precoce, anorgasmia ed enuresi. Ulteriori sistemi in cui i sintomi si manifestano possono essere il sistema cutaneo (con psoriasi, acne, dermatite atopica, prurito, orticaria e sudorazione profusa) e il sistema muscolo-scheletrico. Anche l’alimentazione può essere coinvolta in questo tipo di disturbo.
In aggiunta, i sintomi psicosomatici possono essere associati alla depressione e ai disturbi d’ansia.
Tuttavia, questo disturbo può essere inteso come un meccanismo di difesa. Infatti protegge da emozioni dolorose e intollerabili, utilizzando il corpo per manifestarle.
I disturbi più diffusi sono l’ipocondria e il disturbo dismorfofobico. Quest’ultimo è caratterizzato da un’eccessiva focalizzazione su un difetto fisico che impedisce la normale vita personale, relazionale e sociale.
La cura psicologica presenta delle difficoltà. Infatti, queste persone hanno grandi difficoltà a riconoscere il disturbo organico originato da problematiche psicologiche.

I Disturbi Depressivi

I disturbi depressivi sono patologie molto diffuse e possono colpire chiunque, indipendentemente dall’età, dal sesso e dal livello di cultura.

Dagli studi scientifici emerge che si manifesta più nelle donne che negli uomini.

COME SI MANIFESTA LA DEPRESSIONE

La depressione si esprime per ogni soggetto in modo differente, per motivi diversi e con una sintomatologia più o meno grave.

La depressione produce sintomi psicocomportamentali e psicofisiologici come il disturbo del sonno, dell’alimentazione, della sessualità, delle funzioni gastro-intestinali, del peso corporeo e delle energie psicologiche e fisiche.

Il soggetto sente di essere immerso in una profonda tristezza, prova disistima, insicurezza, sfiducia e una complessiva perdita d’interessi. Emerge una forte tendenza a colpevolizzarsi e a sentirsi falliti.

Le persone che soffrono di questi disturbi tendono ad avere un pensiero rigido rivolto solo al “dovere”che si deve assolvere.

Spesso si hanno anche aspettative irrealistiche verso sé stessi perché si hanno standard molto elevati nei propri confronti.

FATTORI DI RISCHIO E CAUSE

La depressione è una sofferenza che ha origini profonde. Spesso, un’esperienza di perdita potrebbe scatenare tale disturbo.

Un lutto, una separazione, la fine di un amore, la perdita del lavoro, incidono sulla persona fino a farle perdere il senso della vita.

TRATTAMENTO

In queste situazioni spesso vengono prescritti i farmaci che possono aiutare ma non agiscono sulle cause scatenanti della depressione.

La psicoterapia può, invece, aiutare la comprensione di quanto è accaduto e sostenere le persone a poter nuovamente investire nella vita.

Gli Attacchi di panico

Gli attacchi di panico durano solo alcuni minuti, ma lasciano un senso di profonda angoscia e paura nella persona che li sperimenta.

Oltre alla sensazione di soffocamento, tremore, vertigini, sudorazione e tachicardia, provocano una sensazione di morte imminente e una completa perdita di controllo.

Gli attacchi di panico sembrano “nascere dal nulla” lasciando in questi soggetti l’ansia e il terrore che l’esperienza si possa ripetere senza sapere dove e quando avverrà l’attacco successivo.

Si instaura così una sorta di “Paura della Paura” che porta le persone alla disperazione. Quest’angoscia e paura costringe questi soggetti a controllare le situazioni che potrebbero metterli in pericolo portandoli così a rinunciare a molte attività.

Se i farmaci possono aiutare a tenere sotto controllo gli attacchi di panico, i problemi psicologici sottostanti a questi disturbi necessitano di essere affrontati.

L’Abuso e i DCA

L’UNICO MEZZO POSSIBILE

I disturbi del comportamento alimentare possono essere correlati ad abusi sessuali, psicologici e maltrattamenti subiti in età infantile o nel corso della vita.
Molte donne, nonostante la sofferenza subita, non riescono a svelare a nessuno quanto accaduto. Questo fa sì che l’unico mezzo per loro in grado di poter esprimere quanto vissuto sia il SINTOMO ALIMENTARE.

IL CAMPO DI BATTAGLIA

I traumi subiti nell’infanzia , la rabbia, il dolore mai espressi e accumulati rispetto a tali avvenimenti, scelgono il corpo per potersi manifestare.

Vediamo dunque donne che sottopongono il proprio corpo a diete terrificanti, che ricorrono al vomito e ai lassativi, che mangiano fino allo stremo o che effettuano gesti autolesivi per autopunirsi o per sentirsi vive.

Il corpo diventa, quindi, il campo di battaglia su cui poter esprimere l’auto distruttività generata da un dolore e da conflitti mai espressi e risolti.

Spesso, tutto questo rappresenta sia una vendetta verso le figure genitoriali che hanno oppresso, abusato o negato quello che il soggetto ha dovuto subire passivamente, sia una difesa dalla disperazione e dall’angoscia che la rabbia provata suscita.

CONSEGUENZE EMOTIVE

L’abuso sessuale lascia ferite profondissime associate a vissuti di disperazione, vergogna e colpa. Sentimenti che portano la persona ad isolarsi e chiudersi verso il mondo esterno.

L’abuso va a minacciare la fiducia in sé stessi e negli altri. Le vittime rimangono bloccate nell’espressione della vita affettiva e qualsiasi emozione di una certa intensità viene vissuta come pericolosa in quanto richiama la violenza subita.
Nell’abuso, il trauma non è solo procurato dall’abusante ma, anche, da una madre che non difende e protegge, mettendo in atto comportamenti che procurano una vera devastazione nel bambino. Madri che non intervengono, facendo finta di non vedere, che minimizzano o fanno sentire la figlia in colpa per ciò che è avvenuto.

IL SEGRETO

Un altro aspetto traumatizzante è il mantenimento del segreto. Quest’ultimo viene spesso gelosamente nascosto, talvolta perché minacciati dall’abusante, altre volte perché si sviluppa un legame di lealtà e protezione con il proprio aggressore.
Il segreto, nel tempo, acquisisce una grande risonanza all’interno del mondo emotivo e, con esso, si costituisce un forte legame che porta le persone a conservarlo dentro di sé, a volte anche per tutta la vita.

Spesso, proprio intorno a questo doloroso segreto, si sviluppano i comportamenti sintomatici. Questi ultimi possono trovare una risoluzione solo se, pian piano, il segreto viene svelato ed elaborato insieme al terapeuta.

Dipendenze Affettive – trattamento

DONNE CHE AMANO TROPPO

“Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo carattere, la sua indifferenza o consideriamo questi conseguenze di un’infanzia infelice, stiamo amando troppo. Quando non ci piacciono il suo carattere, il suo modo di pensare e il suo comportamento ma ci adattiamo lo stesso, sperando in un suo cambiamento, stiamo amando troppo.
Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo.”
(Robin Norwood, Donne che amano troppo).

IL BISOGNO DI SICUREZZA

Nella dipendenza affettiva, colui che è dipendente dall’altro non riesce a conservare la propria individualità, nè porre dei confini tra sè e l’altro. Ciò che teme è l’abbandono, la solitudine; queste sue paure lo portano ad essere sempre più geloso ed ossessivo verso il partner.

Tale forma di dipendenza colpisce solitamente le donne, anche in fasce di età molto differenti. Donne fragili che si sentono inadeguate e per questo vanno alla continua ricerca di un amore che le gratifichi.
Donne che non riescono a stare in una relazione senza dipendere, senza elemosinare attenzioni e continue richieste di conferme.

PERCHE’ DIPENDERE DALL’ALTO?

Queste modalità offrono la percezione di saper fronteggiare e neutralizzare il senso di impotenza, disagio e vuoto affettivo che avvertono.
E’ il bisogno di sicurezza che condiziona il progetto della loro vita affettiva. Bisogno talmente intenso da portarle a soffocare lo sviluppo delle proprie capacità individuali, sopprimendo ogni loro desiderio ed interesse.

IL PARTNER: IL MIO SALVATORE

Colui che dipende affettivamente da un’altra persona vede nell’amore la soluzione ai propri problemi. Il partner assume il ruolo di salvatore, diventando lo scopo della sua vita. Inoltre, l’assenza del partner, anche se temporanea, porta il soggetto dipendente a percepirsi come inesistente.
In questo modo, l’individuo non riesce a cogliere nè a beneficiare dell’amore nella sua profondità ed intimità.

UNA NUOVA SINTOMATOLOGIA

Chi vive una condizione di dipendenza affettiva può sviluppare una vera e propria sintomatologia: idee ossessive, depressione, insonnia, disturbi del comportamento alimentare e ansia generalizzata.
L’ansia deriva dall’oscillazione tra il desiderio/paura di sperimentare vicinanza e il desiderio/paura della lontananza. Molto forte è la paura ossessiva di perdere la persona amata, fobia che si alimenta ad ogni piccolo segnale negativo. Talvolta è sufficiente non ricevere una telefonata o rimanere inaspettatamente soli per avere paura di un abbandono definitivo.
Gli affetti che comportano paura e dipendenza, sono destinati a distruggere l’amore.

UNA NUOVA AUTONOMIA AFFETTIVA

La guarigione dalla dipendenza affettiva non avviene in seguito al distacco dalle persone da cui si è dipendenti, ma si verifica attraverso l’acquisizione di un’autonomia affettiva. Quest’ultima permette di entrare in relazione con gli altri, perchè li vogliamo, li scegliamo e non perchè si ha bisogno di loro per vivere.
I dipendenti affettivi giungono a chiedere aiuto quando “toccano il fondo”, quando hanno la percezione del vuoto, della perdità di identità, della rabbia e della frustrazione di non vedere ricambiata la dedizione e il loro amore. In questi momenti dolorosi, trovano la spinta per uscire dal circolo vizioso del rapporto dipendente.

LA PSICOTERAPIA

La psicoterapia, sia individuale che di gruppo, consente a queste persone di poter modificare il loro modo di relazionarsi e di amare, aiutandole ad osservarsi nelle relazioni e a divenire consapevoli del messaggio che danno di sé. In modo da poter accedere al concetto profondo di sé e ai nodi della storia personale che li ha condotti ad un simile funzionamento.

Dipendenze Affettive: prospettive teorico – cliniche

Il tema della dipendenza affettiva è attuale sia per motivi psicopatologici sia per motivi culturali, perché si tratta di una condizione mentale tipica del nostro tempo.

La sua fenomenologia trova molte similarità con la dipendenza da sostanze. E’ noto, infatti, come le dinamiche psicologiche alla base di una dipendenza patologica siano le stesse qualunque sia l’oggetto da cui si dipende. In presenza della persona amata o di oggetti ad essa legati, si vivono sentimenti di euforia e desiderio sfrenato oppure, quando subentra la separazione, condizioni di umore depresso, irritabilità, ansia e rabbia, anedonia e senso di vuoto.

In questi soggetti si possono osservare frequentemente pensieri ossessivi e attenzione quasi totalmente focalizzata sulla persona amata, anche in sua assenza; inoltre, vengono utilizzate modalità di relazione e di comportamento disfunzionali che portano a conseguenze negative e, persino, a vivere un disagio significativo e un senso di malessere profondo che, tuttavia, viene mantenuto.

L’elemento più evidente sul piano cognitivo ed emotivo, nel caso in cui l’oggetto di dipendenza sia un’altra persona, consiste nella ricerca costante di figure protettive accudenti e incoraggianti, con cui stabilire e mantenere un legame affettivo stabile.
Il desiderio di protezione e di accoglienza, in particolar modo nei momenti esistenziali più difficili, è funzionale all’esistenza dell’individuo.

In tempi di crisi dei valori e di instabilità e precarietà delle relazioni, questo tipo di dipendenza diventa una fonte di sicurezza alternativa che, come tale, tende a selezionare stili di attaccamento ambivalenti o conflittuali e a favorire la formazione di legami affettivi incostanti e deboli.
Dalla letteratura scientifica in materia risulta che il 99% dei soggetti dipendenti affettivi sono di sesso femminile (D. Miller, 1994).
Si tratta di donne di età diversa: dalle post-adolescenti (età dai 20 ai 27) fino alle adulte con figli piccoli (al disotto dei 14 anni), ma anche grandi, vale a dire la fascia di età che si calcola intorno ai 45 anni (dai 45 ai 50 anni). Sembra si tratti di donne fragili, alla continua ricerca di un amore che le gratifichi, donne che si sentono inadeguate e che hanno difficoltà a prendere coscienza di loro stesse e del loro diritto a stare bene.

La dipendenza affettiva è, essenzialmente, una condizione relazionale caratterizzata da una cronica assenza di reciprocità: il dipendente affettivo non riesce a conservare la propria individualità in un rapporto né a porre dei confini fra se stesso e l’altro, si attacca in modo eccessivo, immagina che il proprio benessere dipenda dall’altro, teme più di ogni altra cosa l’abbandono e la solitudine. Paradossalmente, sono proprio queste paure che portano ad essere sempre più geloso ed ossessivo verso il partner.

Secondo J. Bowlby (noto Psicoanalista britannico che ha elaborato la Teoria dell’Attaccamento) le modalità di attaccamento dell’individuo hanno radici nel legame madre-bambino. La funzione di base sicura, inizialmente assolta dalla figura genitoriale, diviene, attraverso l’interiorizzazione dei comportamenti e degli affetti, una struttura interna che caratterizzerà le future relazioni. Quando questo rapporto è armonico e si sviluppa in modo sufficientemente buono, allora viene fornita al bambino un’iniziale fiducia in se stesso e nel mondo che costituisce le basi dell’autostima. Quando non si realizza tale attaccamento, possono viceversa svilupparsi modalità relazionali disfunzionali.

La dipendenza affettiva troverebbe dunque la sua origine in bisogni infantili inappagati: i bambini i cui bisogni d’amore rimangono non riconosciuti, possono adattarsi imparando a limitare le loro aspettative.
Da adulti, questi soggetti rischieranno di dipendere dagli altri per quanto concerne la cura di se stessi e la soluzione dei loro problemi; temendo di essere respinti, rifuggiranno il dolore, non avranno fiducia nelle loro abilità fino a giudicarsi persone non degne d’amore.

È certamente difficile stabilire in quale misura le diverse situazioni familiari incidano sulle successive relazioni, ma di certo esse hanno un ruolo nello sviluppo di relazioni caratterizzate da dipendenza affettiva e, quindi, incidono sulla tendenza ad instaurare un legame di tipo simbiotico con il partner.

M. Mahler (Psicoterapeuta ungherese, esponente di spicco della Psicologia dell’Io) considera il ciclo di vita come un alternarsi tra fasi di avvicinamento ad una base sicura e fasi di separazione-individuazione. L’individuo, secondo l’autrice, alterna l’esigenza di protezione, sicurezza, calore e ristoro, al bisogno di esplorare l’ambiente e se stesso. Questo modo di rapportarsi con l’esterno nel legame simbiotico viene meno perché non può essere tollerata la separazione, ed è proprio l’intolleranza al distacco a costituire il cuore della dipendenza affettiva. Questo perenne stato di non separazione mette in gioco principalmente il proprio senso d’identità personale più profondo che si trova ad essere confermato o disconfermato dalla presenza o meno del partner.

Le persone che vivono una dipendenza affettiva sono spaventate da ogni cambiamento e sopprimono ogni desiderio e ogni interesse, mentre il bisogno disperato di sicurezza fa da guida ad ogni progetto emotivo.

Considerando la soggettività di ogni persona, gli interventi terapeutici con il paziente con dipendenza affettiva devono sostenerlo affinché recuperi la propria identità e il contatto con i propri bisogni, rimettendo se stesso al centro della propria vita psichica. Questo obiettivo può essere raggiunto aiutandolo ad acquisire consapevolezza di sé e delle dinamiche psicologiche caratterizzanti la propria storia. Allo stesso tempo, si deve aiutare la persona ad individuare i mezzi e le possibilità che gli consentano di trovare un diverso modo di stare in relazione, in modo tale che, una volta riconosciuti e tollerati i propri bisogni, si possa evitare una dipendenza patologica da un altro.

Dott.ssa Rossana Vercellone

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