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Tag: #DCA

Le relazioni interpersonali nei Disturbi del Comportamento Alimentare.

L’anoressia, la bulimia, il binge eating e le altre forme di disturbo del comportamento alimentare (DCA) sono sintomo di un disagio interiore che trova espressione attraverso il corpo. Le condotte alimentari disfunzionali si configurano come manifestazione di vissuti di sofferenza e soluzioni al malessere interiore individuale.

Le cause che possono portare all’insorgenza di un disturbo del comportamento alimentare sono sempre multifattoriali.

I vissuti emotivi che accompagnano le persone con un DCA sono variegati: senso di colpa, senso di inadeguatezza, solitudine, senso di vuoto, paura, dolore, rabbia, insicurezze, perdita di speranza. I pazienti affetti da disturbi alimentari mostrano marcate difficoltà relazionali: faticano a regolare la giusta distanza interpersonale, pertanto possono manifestare una dipendenza adesiva nei confronti dell’altro oppure tendere a respingere in toto il legame, temendo di esserne inglobati. L’incapacità di tenere in considerazione i confini relazionali può comportare un ritiro dalle relazioni sociali e una forte chiusura in se stessi. Il contatto con l’altro è temuto perché implica l’esposizione al giudizio e allo sguardo altrui. Allo stesso tempo, il sintomo può diventare simbolicamente un rifugio difficilmente abbandonabile.

Immersi in questa confusione emotiva i genitori e le persone affettivamente vicine si ritrovano di fronte ad una situazione che accresce il senso di impotenza e spesso sono proprio loro che si rivolgono ai curanti nella speranza di ottenere aiuto. In questi casi è essenziale essere a conoscenza di alcuni campanelli di allarme come cambiamenti evidenti delle abitudini alimentari (iperselettività, modifiche degli orari di assunzione del cibo, predilezione a consumare i pasti fuori casa), attenzione marcata alla propria immagine corporea e evidenti modifiche dell’atteggiamento.

Dal punto di vista psicologico si possono notare vissuti di ansia intensa, insicurezza, scarsa autostima, idee svalutanti e sintomi depressivi. Tutti questi segnali sono fondamentali per riuscire ad individuare il disturbo tempestivamente: solo attraverso una diagnosi precoce è possibile cercare di evitare compromissioni gravi dello stato di salute. Intervenire sui disturbi del comportamento alimentare è estremamente complesso e richiede un’equipe multidisciplinare.

É bene ricordare che ogni intervento deve essere adattato e cucito addosso alla singola persona e non si può pensare ad un tipo di intervento generalizzato e standardizzato per tutti i casi.

Chiunque sperimenti una simile situazione, sebbene possa presentare sintomi comuni legati al tipo di disturbo, porta con sé la propria soggettività e vissuto personale. Questi ultimi non possono essere trascurati in alcun modo in quanto fondamentali per la comprensione dell’insorgenza del sintomo e di conseguenza per decidere il tipo di intervento da attuare.

Accade di frequente che i figli si oppongano ad un percorso di cura, in questi casi è importante che la prima richiesta di aiuto provenga dalla famiglia. È utile che i genitori si rivolgano ad un professionista per intraprendere un percorso di sostegno genitoriale, in modo da riflettere sulle dinamiche interne al sistema familiare; ricordiamo, infatti, che quando ad ammalarsi è un componente della famiglia, di riflesso la patologia coinvolge l’intero nucleo familiare. Questo movimento da parte della coppia genitoriale può favorire la consapevolezza nel figlio della propria sofferenza, portandolo alla decisione di cominciare un iter terapeutico. Quello che le famiglie possono fare è quindi mettersi in una posizione d’ascolto rispetto ai bisogni emotivi dei propri figli, accogliendo e non giudicando il dolore e le paure manifestate, non colpevolizzandoli e non colpevolizzandosi. Come suggerisce la Dott.ssa Marcassa, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva, “per accogliere e creare un clima di ascolto i genitori stessi si possono avvalere del supporto di una grande rete di professionisti che li sostenga in un momento in cui tutta la famiglia risulta essere destabilizzata, questo sarà propedeutico anche per la creazione di strumenti adeguati per sostenere il figlio nel proprio percorso di crescita”.

Infine è importante tenere a mente che il coinvolgimento della rete affettiva del paziente è un fattore predittivo della riuscita del trattamento. Il sintomo alimentare nasce come tentativo di autocura, allo scopo di lenire una sofferenza ed è per questo motivo che il soggetto faticherà ad abbandonarlo. Specialmente in adolescenza si verifica una forte identificazione con il sintomo, per cui la patologia diventa un modo per costruirsi una propria identità. In quest’ottica l’eliminazione repentina del sintomo potrebbe generare un senso di smarrimento e disorientamento. Compito dello psicoterapeuta è quello di accompagnare la persona, tramite la creazione di una relazione di cura basata sullo scambio affettivo e su una solida alleanza terapeutica, nel trovare nuove modalità per affrontare il dolore. A quel punto sarà il paziente a decidere liberamente di abbandonare il sintomo, come spesso avviene.

Dott.ssa Angela Mangiacasale,

Dott.ssa Virginia Moratto,

Dott.ssa Marta Murgia,

Dott.ssa Smilla Rizza,

Dott.ssa Giulia Sanvido.