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Metafore del nuovo governo, tra attesa e ri-conoscimento

Sarantis Thanopulos/Ginevra Bompiani

Sarantis Thanopulos: “Non c’è attesa, Ginevra, che non ponga la questione del riconoscimento di ciò che è atteso, desiderato o temuto che esso sia: l’arrivo di un ospite, l’accadere di un evento, l’approdo a un luogo nuovo. Cosa ci dice che è proprio ciò che aspettavamo?

L’origine della parola “simbolo” è nell’uso degli antichi greci di spezzare in due una tessera in modo che due contraenti un legame duraturo (due individui o due città) potessero prendere un pezzo della tessera e conservarlo. I due pezzi messi insieme – il verbo greco per dire “mettere insieme” è “simbalein”- consentivano il ri-conoscimento, a distanza di tempo, da parte dei contraenti del loro contratto. La rappresentazione simbolica di un legame lo sposta nello spazio dell’attesa. Nel rappresentarlo, in sua assenza, lo apre alla trasformazione, lo introduce al lutto che essa comporta. Quando il legame sarà ritrovato, riconosciuto, non sarà più identico a quello che è stato. Ci sarà una nuova conoscenza del prima. L’attesa avrà il suo compimento se saprà accettare la sorpresa, l’inatteso.”

Ginevra: “E tuttavia, caro Sarantis, questo sembra più un ri-congiungimento che un ri-conoscimento. Infatti, quando i due pezzi della tessera vengono a contatto, anche se nessuno dei possessori riconosce l’altro, vi è la certezza, per i testimoni, che il patto sia chiuso. Nel ri-conoscimento, invece, la certezza non c’è mai, perché la parola, interlocutoria o finale, nasce da un’impressione soggettiva, o meglio, da una decisione soggettiva. Per esempio, c’è poco di comune fra Lega e 5stelle, e per questo non fanno che sbandierare il ‘contratto’, cioè la tessera in due frammenti (che probabilmente, a metterli insieme, non combaciano). Mentre quel che dovrebbe succedere è un ri-conoscimento fra Pd e 5stelle, per avviare un lavoro comune. La tessera, o se vuoi il simbolo, ti stringe in una figura prestabilita e immutabile. Per questo non ho mai amato i simboli. Non fanno giocare il pensiero e la parola, non mettono in gioco l’azione umana. Ho sempre preferito, invece, la metafora, la frase che corre accanto al discorso, al gesto, all’evento, trasporta il pensiero in un racconto che mai lo definisce, in una danza che lo tiene vivo.”

Sarantis Thanopulos “Il trasporto (la “metaforà”), che crea il movimento del nostro pensiero, il passare, in origine attraverso il gesto, da un campo semantico a un altro, da un tipo di esperienza a un altro, usufruisce della possibilità dei ponti simbolici tra le cose vissute/rappresentate. E la costruzione di legami simbolici perderebbe la sua propulsione, senza la spinta che la metafora le imprime. Questi legami espandono il campo dell’intesa tra le differenze, seguono e promuovono il suo cambiamento, rinnovandola. I due pezzi di tessera rappresentano la continuità nel discontinuo: nessun ospite arriva, si fa riconoscere, dove già non è stato ospitato, congiunto, in sogno, a noi. E quando il sogno, l’attesa, diventa un incubo, il simbolo è immobile, disincarnato. Parte di un rituale a-politico che ci falsifica.”

Ginevra Bompiani: “In altre parole (fuori di metafora, si direbbe), due figure immobili, due simboli, non si riconoscono fra loro. Ci si ri-conosce in movimento, nella frase, nel tempo, nella pazienza di continuare ad aspettare l’altro quando è già arrivato. Il bambino che sbocca dal seno materno si fa ri-conoscere con i primi ciechi movimenti della bocca, delle mani, dei piedi. Si riconosce all’istante l’altro nella paura (l’incubo), ma è nell’amore, nell’accompagnamento che il ri-conoscimento piano piano si forma. E questo vale anche per questo anomalo, stridulo, irto nuovo governo: se si formerà, dovrà ri-conoscersi nelle cose, nel confronto e nell’abitudine.

L’altro è sempre un ‘ospite inatteso’, è il tempo che gli dedichi che ne fa ‘l’atteso’.