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La “prima cosa bella” e la negazione del dolore

Sarantis Thanopulos

Capita ogni tanto che il benessere nel mondo si affidi all’assenza degli psicoanalisti. “La prima cosa bella”, rubrica di un giornale nazionale, ha riportato di recente la notizia di un fatto sorprendente accaduto a Sanguinetto, provincia di Verona. Alle Europee aveva vinto la Lega. Ma alle comunali ha vinto in modo netto, contro ogni aspettativa, il candidato, quasi di bandiera, del centrosinistra. Con una partecipazione al voto alta: il 71%.

“Miracolo” che il titolare della rubrica, laico convinto, ha voluto spiegare con un dissociazione di massa dagli psicoanalisti che, pure a Sanguinetto, infesterebbero lo spazio della Polis. Secondo la sua ispirata narrazione, il neoeletto sindaco per andare a mettersi la fascia avrebbe disdetto il suo appuntamento con l’analista. Morale della favola: “Il problema degli psicanalisti è che ti inducono a cercare il trauma e non la felicità dimenticata, finendo per convincerti che hai avuto una vita traumatica e infelice.”

Il sostenitore del “sentire e pensare positivo”, non se la prende con i trainer delle idee, dei comportamenti e dei gusti che regnano imperturbati nel nostro quotidiano. Nel suo mirino sono proprio gli psicoanalisti. È antisovranista, antileghista fiero, eppure condivide con i suoi avversari la stessa idea, che falsifica la realtà, di una “felicità dimenticata”: una “fake news” permanente che inventa il passato, occupa il presente e cancella il futuro. Per i xenofobi e i razzisti i nemici sono i migranti che appestano il nostro sacro suolo, per il progressista che sente di avere nelle mani il segreto per sconfiggerli, il nemico è il dolore che c’è nel mondo e l’esigenza di prenderne cura.

Con questa “schizofrenia” del pensiero e dei sentimenti, che da una parte combattono i “barbari” e dall’altra parte condividono i loro miti fondativi, non è per niente strano che nel nostro mondo non avanza la felicità bensì l’infelicità bieca. Sanguinetto e le tante altre eccezioni ci dicono che la partita non è chiusa, che la grave involuzione politica e culturale in cui viviamo è reversibile, a condizione di riconoscere e rimuovere le cause della comune infelicità – la colonna portante dell’astensione dalla vita. Ciò  non avviene invitando i cittadini a coltivare la loro perduta innocenza e felicità nel giardino di casa.

La “prima cosa bella” può  avere un senso puramente retorico: la nostalgia che guarda al passato, pensando di afferrare, per effetto magico, l’avvenire. Oppure, può avere un senso metaforico: rappresentare la permanenza del nostro aprirsi al mondo -che i nostri incontri iniziali con la sua bellezza hanno creato-, la meraviglia/esposizione delle prime esperienze che guardano, nostalgicamente, al futuro. Ciò che di bello c’è stato, lo è e lo sarà nel luogo della potenzialità in perenne evoluzione dell’esperienza che non si fa schiava della concretezza (della cosa che realizzata finisce, evapora) perché non è immune alla sofferenza.

Nessuno può essere felice se non riesce a soffrire. La bellezza non è anodina, la felicità non è anestesia. Conoscono i traumi: la forza di “Guernica” o della “Passione secondo Matteo” stanno nello sprigionamento della complessità e profondità piacevole della vita che sfida la morte. La presenza del dolore ci dice che siamo vivi, che la necrosi non ha vinto, la sua stagnazione, spesso sorda, segnala il suo funzionamento come ottundimento. La psicoanalisi non lo inventa, se ne prende cura, come la stregoneria, lo sciamanesimo, la religione, la psichiatria. Cerca di non racchiuderlo nei circuiti nervosi, nelle cause genetiche, nel demoniaco, nei comportamenti. Di non limitarsi a lenirlo o a reprimerlo, ma farlo fluire, renderlo fecondo.