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CELIACHIA: “non solo una questione di dieta”

La celiachia è una malattia cronica dell’intestino tenue, determinata dall’assunzione di glutine in individui geneticamente predisposti. L’unica terapia idonea è una dieta rigorosamente senza glutine, che non comporta effetti collaterali, ma deve essere seguita per tutta la vita. La cronicità è l’aspetto che più spaventa questi pazienti, che necessitano di direttive specifiche dal punto di vista medico-nutrizionale, ma soprattutto desiderano essere ascoltati rispetto alle loro paure e ai loro dubbi.

Le difficoltà ad accettare la malattia vengono amplificate dalla costrizione ad una dieta rigidamente controllata, che influenza sia la vita personale, sia quella sociale.

I celiaci devono fare i conti non solo con il malfunzionamento fisico e la percezione del proprio malessere, ma anche con l’etichetta che il mondo esterno attribuisce al loro stato di malattia. Per questo motivo è importante ascoltare e capire quanto sia reale e pressante questa condizione per chi la vive, senza banalizzarla, e aiutare queste persone ad avere gli strumenti per riappropriarsi della loro identità e delle loro abitudini relazionali. Noi, infatti, ci identifichiamo con il cibo che culturalmente ci hanno insegnato a mangiare; quindi una dieta senza glutine può modificare la concezione che abbiamo di noi stessi e che gli altri hanno nei nostri confronti. L’essere celiaci, quindi, può andare a incrinare i rapporti relazionali con amici e parenti, che possono diventare molto apprensivi oppure, in casi estremi, evitare di invitare il celiaco a cena, per non dover cambiare le proprie abitudini.

La diagnosi di celiachia, che sia precoce o meno, comporta sempre un primo periodo di smarrimento, ma, a seconda dell’età, è caratterizzata da aspetti psicorelazionali differenti.

Nei celiaci adulti diagnosticati nella prima infanzia, solitamente troviamo una maggiore compliance, ovvero una maggior predisposizione alla collaborazione terapeutica, data da una dieta più facilmente integrabile in un regime alimentare non ancora consolidato.

Ai bambini diagnosticati in età scolare e agli adolescenti è richiesto uno sforzo maggiore di adattamento, sia per i cambiamenti alimentari, sia per i cambiamenti richiesti sul piano cognitivo.

La diagnosi porta squilibri anche nel contesto intrafamiliare, creando tensioni e confusione nella coppia genitoriale e nel rapporto genitori-figli. Spesso, infatti, i figli non celiaci recriminano ai genitori delle preferenze e delle attenzioni maggiori per il fratello celiaco, e per questo gli adulti si trovano in difficoltà perché non sanno cosa cucinare e come comportarsi per non fare discriminazioni.

La presa in carico psicologica è necessaria quando la celiachia fa emergere anche altre difficoltà psicologiche e relazionali. Può succedere che si faccia fatica a gestire le emozioni legate alla malattia (rabbia, frustrazione, senso di colpa) o che si provi disagio nel comunicare la propria situazione nei contesti di vita. Le difficoltà di integrazione sul piano sociale, oltre alla sensazione di isolamento, spesso possono creare sintomi depressivi e disturbi d’ansia.

Lo specialista deve dare un supporto psicologico, lavorando sul valore simbolico dato al cibo, rilanciando in modo positivo la scoperta di nuovi sapori, facendo attenzione ai vissui dei pazienti e alla presenza di possibili disturbi alimentari celati dalla rigorosità della dieta senza glutine.

In alcuni casi, infatti, possono presentarsi sintomi inerenti al disturbo del comportamento alimentare, accompagnati da pensieri e comportamenti associati al mangiare e all’immagine corporea, che diventano predominanti nella vita del celiaco.

Il disturbo alimentare può nascere anche dalla dieta stessa, che oltre a portare il celiaco a riassorbire quegli elementi che prima non assorbiva, facendo prendere peso e modificando la fisionomia del corpo, contribuisce a focalizzarsi su una rigidità alimentare, che tende a far diventare la persona ipercontrollante.

Il cibo è uno strumento per comunicare ed è fondamentale accogliere la sofferenza del paziente, per aiutarlo ad aprirsi a nuove prospettive, mostrando il cambiamento come possibilità e non più come limite.