Del corpo e d’altre storie.
Corpo e cibo nell’immaginario fiabesco.
Tra gli alti e sapienti scaffali della libreria Salvemini, il 18 marzo, si è propagata la voce di Federico Paino, carismatico speaker, attore e operatore dell’associazione Heta Ancona. Al suo fianco Adalinda Gasparini, psicoanalista, esperta di fiabe e miti e Laura Cioni, psicoterapeuta, psicanalista appartenente all’associazione Dedalo FIDA e attrice. Tre importanti figure che si sono riunite in occasione della giornata nazionale del fiocchetto Lilla, per la prevenzione dei disturbi alimentari. Hanno scelto di trattare quest’argomento in maniera diversa, partendo da due favole, specchio della nostra cultura e metafora della nostra vita, scritte da due illustri narratori italiani: Gaimbattista Basile e Sergio Tofano.
“So che mi hai sempre amata con tutte le tue ciliegine; per questo mostrami al fondiglio dei miei anni la schiuma del tuo amore, promettimi di non sposarti mai se non trovi un’altra donna bella come sono stata bella io, altrimenti ti lascio una maledizione a tette spremute e ti odierò fin dentro l’altro mondo”.
Queste sono le parole scritte dalla penna di Giambattista Basile, contenute nel “Pentamerone”, che vengono pronunciate dalla mamma di Preziosa, alla fine dei suoi giorni, rivolta a suo marito e suo re. Solo una donna di uguale bellezza potrà sostituirla nella vita del suo amato. Chi potrebbe essere identica a lei, se non il sangue del suo sangue? Quest’ordine perentorio proveniente dalla madre riflette la sua identificazione con la figlia e viene tacitamente accettato dal padre. Il mancato riconoscimento della diversità di Preziosa, porta quest’ultima a non accettare più il suo essere donna. Preferisce trasmutare il suo corpo in orsa, animale di forme completamente discordi dall’idea di bellezza femminile, per evidenziare le differenze che esistono tra lei e la madre. Solo il figlio del re di Acquacorrente, che riesce ad apprezzarla anche nella sua forma animalesca, riuscirà ad avvicinarla e farle riacquistare le sue vere sembianze, seppure lei avrebbe preferito rimanere orsa, mostrando così a tutti i suoi lati negativi. Solo il riconoscimento della rottura del legame con la madre porterà Preziosa a non negare più il suo corpo e ad accettare la propria immagine di sé.
“Tristissimi giorni furono quelli per Uguccione della Stagnola. Non mangiava più, non beveva più, non dormiva più, non rideva più; e di giorno in giorno dimagriva, dimagriva, dimagriva; a guardarlo fisso lo si vedeva dimagrire. Tanto che l’armatura adesso, appena lui si muoveva, gli ballonzolava addosso; e un giorno che, uscendo di casa, inciampò e cadde, rotolando per le scale che erano lunghissime finì con lo sgusciare intero intero da una manica della stessa armatura”.
Così avvenne il primo cambiamento fisico di Uguccione della Stagnola, protagonista della novella di Sergio Tofano, contenuta nel libro “Cavoli a merenda”. Il suo assottigliamento avvenne per dispiacere: la biondissima Doralice non voleva più sposarlo, non voleva un uomo con addosso una rigida armatura appartenente ad epoche passate, che, invece di romperla, preferiva trascorrere tutta la vita imprigionato in essa. Nel momento in cui riesce a scivolare via da questo peso del passato, la sua amata lo accetta come marito. Ma, seppur non volendo, Uguccione resta imprigionato nuovamente nella sua armatura, dopo essere ingrassato a dismisura. Questa volta però il nostro capitano prigioniero di sè stesso non la prende male, accetta la sua condizione e reputa che non valga la pena sforzarsi per cambiare nuovamente. Improvvisamente però, l’armatura si rompe! Uguccione è diventato troppo grande per essere contenuto da quell’antico ferraglio e spacca l’armatura dal suo interno, distruggendola definitivamente e liberandosene per sempre. I suoi cambiamenti corporei gli permettono di rimanere intrappolato o di abbandonare quell’insieme di tradizioni e credenze che lo legavano ai suoi avi.
Sia Preziosa che Uguccione sono rimasti legati ad una figura familiare del passato che non permetteva il riconoscimento della loro unicità, ma che vedeva la loro esistenza legata esclusivamente ad essi. Il canale attraverso cui hanno deciso di manifestare il proprio malessere, in modo conscio o inconscio, è stato il corpo.Ciò che gli ha permesso di tagliare il cordone ombelicale che li vincolava al loro passato è stata l’accettazione da parte dell’Altro e di se stessi della loro unicità, il riconoscimento della loro diversità.
Dott.ssa Sofia Degli Esposti