Anoressia, il ruolo di Instagram nella cura dei disturbi alimentari. La terapia delle #edwarriors e dei diari
L’Huffington Post | Di Chiara Piotto
“La gente non ha vie di mezzo, proprio come la malattia. O ti sostiene al massimo, o ti affonda”. Le parole di Francesca, una delle tante ragazze anoressiche che combattono la propria battaglia online, non potrebbero essere più vere. Instagram è una piattaforma dove gambe ossute, pranzi mancati e modelli irrealistici si mescolano in una giungla schizofrenica. Non c’è priorità – né compassione – che dia un ordine alle immagini condivise. Per una ragazza che soffre di disturbi alimentari è come giocare a campo fiorito. Se clicchi bene sopravvivi, se scegli male salti in aria.
I social sono stati messi alla gogna perché propongono modelli non reali. Ma la condivisione ha anche permesso a chi soffre di disturbi alimentari di trovare un punto di incontro con chi vive le stesse difficoltà. Come i forum, Instagram ha creato una comunità di sostegno. La parola d’ordine è “recovery”, guarigione. Scegliere da che parte stare è prima di tutto una questione di hashtag. #ana(abbreviazione di anoressia), #donteat, #anorexianervosa da un lato, con le loro regole e i comandamenti. #EdWarriors e #EdSoldiers dall’altro. Questi ultimi due sono i codici che permettono di dialogare alle persone che combattono contro un disturbo alimentare.
Quando si cercano parole sensibili come #anorexianervosa Instagram avverte e invita a cercare supporto.
E’ il nome che li unisce: “Eating Disorders Warriors”, i guerrieri, i soldati. Il campo di battaglia in cui si muovono è tragico ed epico. La maggior parte dei profili sono legati alla parola “Recovery”, riportano nella descrizione il numero di kg persi o riacquistati, frasi motivazionali come “Le calorie esistono soltanto se ti metti a contarle”. Ci sono contest come il #FearFoodChallenge di incoraggiamento di gruppo.Si trovano più che altro diari alimentari, account dedicati interamente alla meticolosa annotazione – tramite fotografie – di ogni pasto consumato. Alcuni medici pensano che sia un’abitudine dannosa, che porta a frequentare altre persone malate e a sviluppare un rapporto più malato con il cibo. Non tutti sono d’accordo. “Anche prima dei social, era una tecnica comune e basilare nel trattamento di queste patologie”, dice ad HuffPost Romeo Lippi, psicologo e psicoterapeuta, fondatore del sito Lo psicologo di internet, “Permette il monitoraggio della dieta e il cambiamento della stessa. Instagram non fa altro che rendere questa cosa pubblica, dando alle persone il supporto dei like e dei commenti di amici e follower che le seguono. Diventa quasi una terapia di gruppo. Si creano vere e proprie relazioni, online ma anche reali. Ovviamente nel caso dei più giovani sarebbe meglio se tutto venisse controllato da un adulto“.
Tra le ragazze in via di guarigione ce ne sono tante che trovano sollievo nel condividere i propri pasti. È il caso di Livia, alias @LiviaLives_recovering, studentessa di giurisprudenza. “La mia storia è iniziata nel 2009, pesavo circa 67 kg ed ero quasi sovrappeso”, ha raccontato in un post. “Non mi piaceva il mio aspetto, mi sentivo enorme rispetto alle mie amiche. A otto anni ho scritto nel mio diario: “Voglio diventare anoressica così posso fare la ballerina”. Nella mia testa anoressica significava semplicemente magra“. Le fasi iniziali della malattia sono per molte persone difficili da raccontare. Ma scriverlo sui social, sapendo che lo leggeranno molti sconosciuti, può essere allo stesso tempo liberatorio. Alcune, ad esempio, scelgono di aprirsi ma scrivono nella propria descrizione “Se mi conosci, sssshhhhh!”.
Anche se campana, Livia scrive spesso in inglese. Anglofoni sono infatti la maggior parte degli account #recovery, per quanto secondo lei la community italiana sia in crescita. “Le ragazze italiane sono ancora un po’ restie a condividere la propria storia su Instagram, dipende molto da quanto la comunità intorno a te lo fa”, dice lo psicologo Romeo Lippi. “Mi dicono che vedono le altre su Instagram, sempre magre, contente, con il fidanzato… In questo ha un ruolo centrale la famiglia, che spesso ignora i social e quello che vi succede mentre sarebbe importante un dialogo“. La maggior parte delle vittime di disturbi alimentari sottolineano infatti quanto sia difficile parlarne con i genitori o rivolgersi a degli specialisti.
Livia è stata ricoverata diverse volte ed è arrivata a pesare 36 chili. La sua vita si è accartocciata intorno alla necessità di nascondere i pasti, di trovare una buona scusa per saltarli. Una vita che ha tentato di levarsi e che ora sta lottando per riprendersi. È al suo terzo account Instagram, i primi due li ha cancellati perché erano molto negativi. “Ho deciso di aprirne uno nuovo all’insaputa del mio medico perché sapevo dell esistenza di questi profili #recovery e, per quanto sconsigliato dagli psicologi, mi aiuta approcciarmi al cibo cercando di renderlo più artistico… fotogenico o di ispirazione”, racconta ad HuffPost. “Prendo spunto dagli altri profili e sono selettiva: può sembrare egoista ma non seguo chi sta troppo male perché sono ancora troppo sensibile. Seguo chi può ispirarmi, chi fa buone foto, chi non mi destabilizza”. Scorrendo l’elenco dei suoi follower si trovano soprattutto ragazze come lei, con la parola “recovery” nel nome, tante foto di piatti pieni in gallery. “Tante persone mi dicono che le ho aiutate e questo mi spinge a non mollare. Altre sono riuscite a guarire e sono per me fonte di ispirazione. Mi tengo lontana dai profili “pro ana” che inneggiano alla malattia per non farmi condizionare”.C’è bisogno di rendere le strutture di terapia e ascolto più accessibili e visibili.