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Il desiderio che ama il lutto – di Thanopulos (recensione di Chiara Buoncristiani)

Il gustare: un ponte tra desiderio, corpo e alterità nell’ultimo libro di Thanopulos

Chiara Buoncristiani

In un mondo dove il “no limit” è l’offerta di base, non è facile desiderare qualcosa o qualcuno. Se le campagne di marketing ci offrono tutto quello che vogliamo – subito, dove e come lo vogliamo – è perché intercettano un funzionamento mentale che distingue il nostro tempo. Dobbiamo evitare che l’oggetto desiderato sia libero di respingere il nostro avvicinamento: così preferiamo annullare la qualità che lo rende desiderabile, la sua libertà di sfuggire, di opporci resistenza. Anche i limiti del corpo sono forzabili e superabili.

Che fine fa allora il desiderio? Si può chiamare ancora tale una spinta che non sa incontrare più un imprevisto, una sorpresa, un rischio, quella che i lacaniani chiamano la differenza dell’Altro? Freud e Lacan hanno parlato di una possibile soddisfazione del desiderio solo sul piano della rappresentazione, separata dalla sua incarnazione nel corpo, dal godimento. Il desiderio come passaggio infinito da un oggetto all’altro, in particolare per Lacan, è una perpetua ricerca maniacale di quel residuo di vitalità che però è sempre altrove. Il godimento sarebbe appunto animale e ingordo, rifuggirebbe ogni limite: impossibile comunque il lutto per la perdita del controllo onnipotente.

C’è però un modo diverso di guardare al desiderio e alla sua soddisfazione, più o meno sublimata, spiega Sarantis Thanopulos ne “Il desiderio che ama il lutto”. Obiettivo del volume (Quodlibet, 2016, p. 79) è quello dal riconciliare non solo il desiderio con i sensi, ma anche di restituire “al legame tra il desiderio e il lutto la sua centralità nella costituzione di una vera esperienza di vita, aperta alla scoperta e capace di trarre piacere dall’inquietudine che implica il suo spostamento dal suo centro di gravità”. Per l’autore incarnare il desiderio significa scoprire il senso del gusto, un “attento assaporare” che lascia il soggetto sempre “un po’ insaturo”.

Al centro del volume, particolarmente complesso e ricco, c’è l’identificazione isterica, intesa come un ponte tra il narcisismo e l’alterità. L’identificazione isterica nasce quando nel bambino ha già preso forma il desiderio di un oggetto di cui inizia a fare esperienza della separatezza da un oggetto che non può controllare (di cui anzi è stato mutilato, perché prima la madre-seno era indistinguibile dal sé) ma dal quale dipende. Senza più essere un tutt’uno con la madre, il bimbo comincia però a condividere lo stesso pathos, si immerge nella stessa acqua. La “gusta”. La madre come oggetto perduto è ritrovato come qualcosa di identico e contemporaneamente diverso da sé: “Nello stesso fiume entriamo e non entriamo, siamo e non siamo”. E questa frase di Eraclito è per Thanopulos la legge del desiderio che ama il lutto. L’identificazione isterica è un processo transizionale che media il lutto per la perdita della fusione con la madre. Attraverso questo il il bambino si apre all’esperienza soggettiva percependo per la prima volta i propri confini, non attraverso una brusca disillusione, ma entrando nel gioco della seduzione intersoggettiva all’interno di un legame di reciprocità empatica. Così si può articolare il prototipo di tutte le perdite e separazioni successive, ma anche quello di tutte le riparazioni e auto-riparazioni che verranno. E’ all’interno di un’identificazione isterica, cioè della tendenza del soggetto a svolgere “l’attività delle due persone che compaiono nella fantasia” argomenta Thanopulos citando Freud, che si può elaborare il rapporto con ciò che è altro.

Secondo l’autore la psicoanalisi si è concentrata fin troppo sul sostegno della soggettività producendo una riserva nei confronti della dimensione isterica dell’esistenza. Solo questa dimensione, che rende il soggetto “perennemente eccentrico a se stesso e ben lontano dall’ideale”, può rendere giustizia del terzo stato della mente. Non la veglia, non il sonno, ma il sogno, nel quale il sognatore recita contemporaneamente il suo ruolo e quello degli altri. E’ attraverso un’identificazione isterica che l’alterità penetra anche nel pensiero onirico della veglia. E’ così che, nella sua reverié, l’analista può immergersi insieme al paziente in quel divenire comune di affetti ed emozioni chiamato analisi.