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L’approccio psicoanalitico nella cura dei disturbi del comportamento alimentare

Nella società attuale i disturbi alimentari interessano un’ampia fascia di persone. Accanto alle forme più conosciute (anoressia, bulimia, binge eating) si stanno diffondendo nuovi disagi che si manifestano attraverso un’attenzione eccessiva all’alimentazione corretta (ortoressia) e una ricerca esasperata del fisico atletico e muscolarmente ipertrofico (vigoressia).

La richiesta di aderire ad un ideale di perfezione e bellezza, così insistentemente proposto dalla società, può incontrarsi con aspetti di fragilità personale, un’immagine distorta o negata del proprio corpo, difficoltà nel delicato processo di separazione-individuazione o una particolare costellazione di fantasie inconsce, trovando espressione in un rapporto con il cibo difficile o patologico.

Crescere comporta accettare una nuova immagine di sé, la separazione dagli antichi oggetti d’amore, il superamento della dipendenza e dell’illusione di onnipotenza propria dell’età infantile. Se il conflitto necessario per portare a termine in modo ottimale la propria maturazione non può essere vissuto, l’accettazione di confini e limiti, sia intrapsichici che interpersonali, può divenire molto difficoltosa.

Il rapporto con il cibo è calato nel rapporto con l’altro, a tal punto che spesso lo rappresenta. Ha a che fare quindi con dinamiche di relazione familiare, sociale, culturale, oltre che con aspetti profondi e antichi legati alle esperienze di relazione primaria.

E’ per questi motivi che il trattamento terapeutico dei disturbi del comportamento alimentare dovrebbe prendere in considerazione la persona nella sua interezza, considerando la manifestazione evidente del disturbo come un sintomo che non può essere risolto senza un lavoro sulla causa che lo ha reso manifesto.

L’approccio multidisciplinare integrato a orientamento psicoanalitico ha tra i suoi obiettivi un lavoro sulla personalità del paziente e sul dolore che il sintomo esprime, la valutazione di eventuali comorbilità psicopatologiche che possono determinare notevole variabilità del decorso clinico, l’evitamento delle ricadute e dello spostamento del sintomo da una sindrome ad un’altra. Spesso, infatti, un trattamento che miri solo alla risoluzione diretta del sintomo può risultare poco adatto per questo tipo di disturbi poiché non tiene in considerazione la struttura di personalità sottostante.

Il rischio di un approccio terapeutico circoscritto al sintomo è infatti quello di continuare a non dare un senso a ciò che attende proprio di essere significato per divenire finalmente elaborabile all’interno di una relazione.

Ogni movimento verso l’autonomia della persona passa attraverso l’incontro con il reale, con le pulsioni, con le frustrazioni, con l’impotenza, la mancanza e il limite. L’esperienza di un oggetto troppo reale e presente può rendere difficile una buona separazione e integrazione del sé e lo sviluppo di una capacità di pensare e di simbolizzare l’altro e la realtà.

Fantasie, pensieri primitivi, terrori indicibili rimangono incistati nel corpo senza riuscire a trovare un’altra forma di comunicazione.

L’approccio psicoanalitico cerca di dare voce a quanto non detto e non pensato, di rendere pensabili contenuti caotici e scissi, di elaborare vissuti legati alla trasmissione trans-generazionale, di sviluppare una capacità di mentalizzazione e di simbolizzazione che possa superare e significare esperienze sensoriali e corporee e di accedere ad un pensiero astratto in grado di tollerare l’attesa e l’assenza. Questi cambiamenti sono possibili solo attraverso una relazione con l’altro che non sia centrata sul disturbo fisico, ma che sappia mantenere saldo il rapporto, troppo spesso scisso, tra mente e corpo, con uno sguardo rispettoso sulla complessità di un problema multideterminato, caratterizzato da numerosi fattori eziologici.

Proprio la complessità del disturbo richiede pertanto una presa in carico integrata da parte di una equipe di specialisti: colloqui preliminari, un lavoro di terapia individuale o di gruppo, terapie espressive, monitoraggio dei parametri medico-nutrizionali, un supporto per le famiglie, l’eventuale ricorso ad una consulenza psichiatrica, un percorso presso le istituzioni residenziali e semiresidenziali e un ricovero ospedaliero o ambulatoriale, se necessario.

Frequentemente, infatti, i disturbi del comportamento alimentare sono in comorbilità con altre patologie o sintomi che possono renderne più complesso il trattamento (depressione maggiore, disturbi d’ansia, fobie, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi dell’umore, altre forme di dipendenza, aspetti ipomaniacali…).

Per evitare la cristallizzazione di questo disturbo risulta determinante un lavoro di prevenzione e una diagnosi precoce.